La Bhagavadgītā (che significa "Il canto del Beato Signore") si presenta come un dialogo che si svolge tra il principe-guerriero Arjuna e il suo cocchiere Krishna sul campo di battaglia di Kuruksetra. All’origine dello scontro c’è una faida che ha portato Arjuna e i suoi fratelli a essere defraudati del proprio regno. Alla famiglia dei Pandavas, quella del principe, si contrappone quindi la famiglia dei Kauravas, gli usurpatori del trono, esseri malvagi e disonesti. I due clan sono legati da stretti vincoli di parentela; entrambi appartengono infatti alla dinastia dei Kuru. Questa vicinanza non lascia indifferente Arjuna, che quando scorge nell’esercito nemico i volti dei propri amici e parenti, decide di fare un passo indietro e di non combattere. L’idea di annientare la sua stessa stirpe, infatti, è qualcosa che lo tormenta e che gli fa dubitare del cammino intrapreso. Ed è proprio a questo punto che nasce il denso scambio fra quest’ultimo e Krishna. Arjuna gli esprime le tante incertezze e le paure legate alla battaglia, ma alla fine, spinto dalle parole e dagli insegnamenti del suo confidente, accetterà di riprendere le armi e affrontare lo scontro. In realtà, agli inizi del dialogo, Krishna abbandona le sue caratteristiche umane per rivestire quelle del dio Vishnu, di cui è l’incarnazione. È quindi l’Assoluto, l’Essere Supremo, la radice e il fondamento di tutto. Ciò che viene trasmesso ad Arjuna, dunque, sono nozioni circa la realizzazione spirituale e il raggiungimento del proprio scopo nella vita. Quello del principe, in particolare, è legato al suo ruolo di leader all’interno dell’esercito dei Pandavas. Krishna farà riferimento inoltre alla devozione, al sacrificio, e all’equilibrio fra l’adorazione del fedele e la benevolenza che ha verso di lui la persona divina.