La bisessualità e il ruolo che occupa all’interno delle minoranze sessuali portano con sé una storia, una cultura e una prospettiva unica, perfette per esaminare l’ampio spettro della diversità nell’esperienza sessuale dell’essere umano. Secondo la psicologa Julia Shaw, farlo apre le porte a tantissime forme di consapevolezza, personale e politica.
Parlare di bisessualità chiama certamente in causa l’impatto che gli standard della società hanno sulle persone. Viviamo in un mondo dove l’eterosessualità, e tutto ciò che ne consegue, viene considerata la norma alla quale adeguarsi. In molte società del passato però non era così, o meglio: l’idea stessa di norma eterosessuale è un’invenzione moderna. Il termine venne coniato nel 1869 dall’attivista Karl-Maria Kertbeny, interessato all’attrazione tra persone dello stesso sesso e che descrisse la parola eterosessuale semplicemente nel tentativo di identificare una delle varie sfumature della sessualità umana. Anche il termine bisessuale, in questo campo, prese piede negli stessi anni, partendo dall’utilizzo nel campo della botanica per descrivere la natura delle piante ermafrodite.
Ai tempi, la questione della bisessualità rimaneva legata alle condizioni biologiche e psicologiche. Non si era ancora giunti in società ad assegnare un valore identitario alle preferenze sessuali di una persona. Il sesso era qualcosa che si faceva, non aveva connotazioni politiche. Anche gli studi in materia, quindi, rimasero nello stesso ambito del sapere. Ma le preferenze e le tendenze sessuali sono qualcosa di complicato da studiare in un laboratorio. Il primo cambiamento avvenne con gli studi di Alfred Kinsey, negli anni ‘30 del secolo passato. Entomologo specializzato in tassonomia, passò alla storia come l’inventore della Scala Kinsey, primo tentativo realmente funzionante per descrivere lo spettro della sessualità umana. La scala risente dei limiti della professione dello studioso e dei limiti socio-culturali dell’epoca, ma riesce a presentarla come appunto uno spettro – tra l’interamente omosessuale e l’interamente eterosessuale – senza alcun giudizio. Nella sua visione, inoltre, la bisessualità diventava per la prima volta la condizione di default e non un’anomalia.
Il secondo tentativo più riuscito per descrivere l’esperienza sessuale dell’essere umano arrivò anni dopo con la Klein Grid, di Fritz Klein, negli anni ‘60. Il suo schema riguarda l’orientamento della persona ed è basato su un piccolo quiz che spinge la persona a porsi domande introspettive, intelligenti. Viene introdotta una differenza sostanziale tra amore e sesso e vengono tenute in considerazione le aspettative sociali. Si arriva dunque a parlare di identità, di scoperta di sé e messa in discussione delle norme. Arriva anche l’era delle etichette, utili per identificarsi e assegnare valore al proprio orientamento, che creano però anche non pochi scontri tra le varie minoranze. In primis per il significato che viene loro assegnato, in secondo luogo perché spesso rischia di mettere in secondo piano il valore del comportamento in quanto tale. Esistono tantissimi modi di esplorare la propria sessualità e usare etichette può diventare limitante.