Sin da bambine le donne sono educate, prima dalla famiglia, poi dalla scuola e dalla società, a non considerare il proprio corpo come un’entità unica alla quale affacciarsi.
Ogni donna è abituata, infatti, ad avere una visione della propria corporeità segmentata, divisa e frammentata: le gambe, i capelli, il viso, le unghie, il collo.
Quasi come se fossero loro stesse delle gentili custodi del proprio corpo, le donne si prendono cura, con attenzione e dedizione, di ogni singola parte del proprio corpo come se fosse staccata e separata dalle altre.
Chiaramente non si tratta di una scelta consapevole, ma di una maniera in cui la società ha impostato la cultura della bellezza e del corpo femminile, in maniera disarmonica e disgiunta rispetto ad una visione olistica e integrale del corpo umano.
Pubblicità, film, campagne di comunicazione, tutte incentrate sul considerare le qualità estetiche del corpo della donna come se fossero separate dalla persona che le incarna, e staccate dal corpo di questa persona stessa.
Basti pensare a tutto quello che si dice intorno all’invecchiamento femminile, dove l’attenzione mediatica si concentra su specifici punti del corpo della donna, arrivando a demonizzarli nel momento in cui si va avanti con l’età.
Un esempio lampante di questo concetto si può trovare nella narrazione collettiva che si fa circa il collo: si dice che dallo stato di invecchiamento del collo è possibile capire l’età di una donna, perché si tratta di una parte che non si può sottoporre a nessun trattamento chirurgico.