La disfatta di Caporetto è un capitolo particolarmente doloroso e complesso della storia italiana: l’offensiva che portò alla tremenda sconfitta subita da austriaci e tedeschi riuscì a essere così efficace proprio perché in aiuto degli austriaci vennero i tedeschi. Il generale von Cramon racconta, nelle sue memorie pubblicate nel dopoguerra, che l’idea di ricorrere ai tedeschi per poter sferrare l’attacco decisivo agli italiani iniziò a prendere piede durante l’offensiva di Cadorna sulla Bainsizza.
L’obiettivo di Cadorna era Trieste, ma l’unico modo per fermare quanto prima gli italiani era organizzare quanto prima una controffensiva, impossibile da sferrare per l’esercito austriaco senza il supporto tedesco.
Conoscere chi “firmò” gli attacchi e le offensive delle battaglie del Novecento è quasi impossibile vista l’estrema complessità dell’organizzazione degli Stati Maggiori. Un esercito della Prima Guerra Mondiale infatti aveva un comandante nominale (il re Vittorio Emanuele, nel caso di quello italiano); c’era poi il capo di Stato Maggiore, vero responsabile delle decisioni, negli eserciti più progrediti poi esisteva il capo dell’Ufficio operazioni, spesso un semplice colonnello che rimaneva nell’ombra ma che aveva un ruolo decisivo.
Il capo di Stato Maggiore Paul von Hindenburg, nel suo libro di memorie pubblicato nel 1920, dedica un capitolo a Caporetto e osserva che lui si era opposto sin dall’inizio a togliere uomini dalle operazioni sul fronte occidentale (dove era richiesto fino all’ultimo uomo) per mandarli a combattere essenzialmente solo per la gloria. Ma il suo parere contava fino a un certo punto e il Kaiser Guglielmo decise che scendere in campo a fianco degli austriaci era fattibile: “Puoi star sicuro che non solo il mio esercito, ma tutta la Germania giubilerà, se truppe tedesche insieme con i valorosi combattenti dell’Isonzo daranno addosso alla spergiura Italia”.