Questo significa che per quanto ci impegniamo, le cose possono andare male. Negli anni Settanta due filosofi, Samuel Gorovitz e Alasdair MacIntyre, si sono posti proprio questa domanda: “Perché sbagliamo?”. La risposta, però, non semplice. Nel mondo, infatti, esistono due tipi di fallibilità. La fallibilità necessaria comprende tutte quelle cose che sono al di fuori della nostra portata o del nostro controllo. La tempesta perfetta, per esempio. Quando invece si parla di cose che possiamo controllare o alla nostra portata, i due filosofi hanno trovato solo due motivi che possono giustificare un nostro fallimento. Il primo è l’ignoranza. Gli esseri umani possono commettere degli errori perché hanno una conoscenza solo parziale del mondo e del suo funzionamento. Per esempio, ci sono malattie che ancora non siamo in grado di curare perché non ne conosciamo l’origine oppure grattacieli che non possiamo costruire perché richiedono conoscenze che oggi ancora non abbiamo. Il secondo motivo per cui noi esseri umani sbagliamo è l’inettitudine. Si tratta di non riuscire ad applicare correttamente quello che sappiamo. Esempi di questo genere ce ne sono tantissimi. Pensiamo al campo medico. Secondo alcuni studi, almeno il 30 per cento dei pazienti colpiti da ictus non riceve le cure adeguate, la percentuale sale al 60 per cento per chi contrae una polmonite.
I fallimenti per inettitudine sono dovuti all’estrema complessità che oggi caratterizza quasi ogni attività umana, dalla medicina all’edilizia, dalla pratica della giustizia alla finanza, alla politica. Ogni giorno abbiamo sempre più cose da gestire, eseguire e imparare per rimanere al passo. È facile, quindi, perdere per strada dei pezzi, anche semplici, senza neanche rendersene conto. Non è una questione di mancanza di impegno. Anzi. Nessuno mette in discussione questo aspetto. È proprio la nostra incapacità di gestire la complessità.