Nel gennaio del 2007, il violinista americano Joshua Bell - che nella sua carriera è stato definito prodigio, genio e persino dio - si è prestato a un esperimento organizzato dal Washington Post. Si è piazzato in una stazione della metro di Washington, ha imbracciato il suo violino (uno Stradivari realizzato nel 1713, del valore di circa 4 milioni di dollari) e ha suonato come un qualunque artista di strada. Tre giorni prima, Bell aveva fatto il tutto esaurito alla Boston Symphony Hall, biglietti a partire da 100 dollari: quella mattina, racimolò 32 dollari e 17 centesimi, 20 dei quali offerti da Stacy Furukawa, che lo aveva riconosciuto ed era rimasta a dir poco sbalordita da quello a cui stava assistendo.
Che cosa voleva dimostrare il Washington Post? Che la gente non presta attenzione agli artisti di strada? Certo. Ma, soprattutto, che siamo soliti giudicare senza avere idea di cosa usiamo come base dei nostri giudizi. Vedere un giovane uomo trasandato, con un cappellino da baseball e le scarpe sportive che suona nella metropolitana ci fa automaticamente pensare che si tratti di un poveraccio che strimpella un violino qualunque per tirar sù i soldi della cena. Si chiama impressione di competenza, ed è un vero e proprio riflesso condizionato. Non essere in grado di fare una buona impressione, come dice anche la saggezza popolare, può danneggiare enormemente i nostri talenti. La buona notizia è che, sapendo come funziona il nostro cervello, possiamo controllare gran parte di ciò che gli altri pensano di noi e quindi imparare a mostrare le nostre capacità.
Ogni giorno prendiamo tante decisioni, grandi e piccole, che si basano su quello che pensiamo del nostro prossimo. Dobbiamo decidere chi ci taglierà i capelli e chi ci preparerà il pranzo, ma anche chi gestirà i nostri risparmi e chi lavorerà per noi a un progetto importante. Senza nemmeno farci caso, giudichiamo costantemente le capacità degli altri. In ambito professionale, partiamo dal concetto che la competenza sia il fattore decisivo, e per competenza intendiamo la combinazione di conoscenze e abilità specifiche. Spesso, però, non siamo in grado di agire seguendo questa regola e non scegliamo le persone davvero più competenti. Questo è dovuto anche al fatto che sta diventando sempre più difficile saper valutare la competenza: il mondo ci mette davanti a una crescita esponenziale della complessità, soprattutto in settori come quelli legati alla tecnologia. Cresce quindi la necessità di fare affidamento su persone che mostrano di sapere che cosa stanno facendo in ambiti che ci sono più o meno sconosciuti. Ciò che ci dà un senso di sicurezza in questo mondo complesso, alla fine, non è tanto la competenza effettiva, ma quella percepita.