Anno dopo anno, cuciniamo sempre meno spesso e compriamo sempre più pasti pronti; basti pensare che il tempo trascorso in cucina nelle case statunitensi si è dimezzato rispetto agli anni ‘60. Allo stesso tempo, parliamo sempre di più di cucina: esistono programmi televisivi incentrati su questa attività e certi cuochi sono ormai celebrità. Nonostante nei tempi moderni abbiamo felicemente delegato o tecnologizzato diversi compiti relativi alla cura della casa, cucinare è un’attività in qualche modo differente: in sé ha un potere emotivo e psicologico che non possiamo o vogliamo abbandonare.
Cucinare ci costringe a mettere le mani in pasta, a maneggiare elementi estremamente pratici e reali come vegetali e animali, a lavorare con gli elementi primordiali – fuoco, acqua, aria, terra – e a cercare di padroneggiarli per tirar fuori da essi l’alchimia degli alimenti. Forse, quindi, la ragione per cui ci piace tanto guardare programmi di cucina risiede nel fatto che c’è qualcosa del cucinare che ci manca; forse non abbiamo più il tempo e l’energia per farlo tanto quanto le generazioni passate, ma non siamo preparati a veder scomparire questa attività dalle nostre vite. Se la cucina è un’attività che ci definisce in quanto esseri umani, allora non dovremmo sorprenderci di quanto anche solo veder qualcuno cucinare tocchi le nostre più profonde corde emotive.
E in effetti, gli antropologi prendono seriamente in considerazione l’idea che la cucina possa essere la chiave per cui ci siamo evoluti come esseri umani e come specie dominante. Il cibo crudo è molto difficile da digerire e deve essere masticato a lungo: cucinando, la razza umana si è liberata da questo problema e ha potuto quindi dedicare il suo tempo ad altre attività, come ad esempio la creazione di una cultura. Inoltre, consumare un pasto insieme, guardandosi negli occhi e condividendo il cibo, ha sicuramente contribuito a dare forma alla civilizzazione umana.
Riflettiamo quindi sul fatto che l’attuale declino della cucina possa causare gravi conseguenze sul futuro dell’umanità. Certo, non si tratta di qualcosa che ha solo conseguenze negative: il fatto che oggi esistano aziende che ci permettono di consumare pasti pronti ha liberato le donne dal loro tradizionale, esclusivo compito di sfamare la famiglia, permettendo loro di perseguire delle carriere. Ci permette anche di risparmiare molto tempo, che può essere dedicato ad altre attività produttive o ricreative.
Ci sono però anche diversi lati negativi della cucina industriale. Prima di tutto, essa ha un notevole impatto negativo su salute e benessere, perché tende a usare molto più sale, molti più grassi, conservanti e ingredienti di natura chimica rispetto alla cucina casalinga; non è un caso che i tassi di obesità e delle relative malattie croniche siano aumentati di molto negli ultimi decenni. Inoltre, la cucina industriale minaccia il concetto di pasto condiviso, che è sempre stata una vera e propria istituzione familiare e simbolo di convivialità.
Il modo migliore per recuperare il nostro rapporto con il cibo è cercare di padroneggiare i processi fisici attraverso i quali viene solitamente cucinato. La buona notizia è che possiamo ancora ampiamente farlo, a prescindere dalle nostre capacità culinarie. Ma perché farlo? Cucinare ci coinvolge in una rete di relazioni: con piante e animali, con la terra, con i contadini, con i micro-organismi dentro e fuori dal nostro corpo e, ovviamente, con le persone che traggono piacere e nutrimento dal cibo che cuciniamo, dal momento in cui cucinare per gli altri è una delle più grandi forme di generosità. Inoltre, capire come si producono certi alimenti aiuta a capire anche più cose su noi stessi. Lasciare che siano altri a cucinare per noi a livello industriale, al contrario, significa essere dipendenti e impotenti, ignoranti e sempre meno responsabili in merito a ciò che mangiamo.