Il basket è da sempre considerato uno sport tipicamente americano. È nato a Springfield nel 1891, grazie all’intuizione di un medico ed insegnante di educazione fisica di nome James Naismith. Ben presto si diffuse in tutti gli Stati Uniti e da lì nel mondo.
Nel 1936 il basket venne inserito tra gli sport in gara alle Olimpiadi di Berlino e nel 1946 nacque la NBA (National Basketball Association) che aveva il compito di promuovere lo sport del basket per garantirne una diffusione più capillare. All’NBA spettava inoltre il compito di formare le squadre che avrebbero dovuto partecipare ai campionati.
Era comunque lo sport giocato nei college, era il passatempo preferito di tanti giovani che si trovavano a tirare una palla in un canestro, era anche uno sport femminile. Tuttavia, ad un certo punto, qualcosa cambiò.
Il basket americano iniziò a perdere partite importanti come le Olimpiadi del 1988 e i Mondiali del 1989. Il confronto con le altre squadre internazionali funzionò come campanello di allarme in quanto le squadre americane, e nel complesso l’intero basket americano, stava perdendo la leadership di cui si era vantata fino a quel momento.
Ciò che emergeva tuttavia non era la crisi del basket in sé, al contrario era uno sport che si era evoluto e diffuso nel mondo, quanto la scelta dei giocatori, l’attitudine alla vittoria, la predisposizione e preparazione atletica.
Arrivò il momento in cui gli americani dovettero pensare a come risolvere il problema, ovvero come ritornare a essere vincitori sul campo.