Gli appartenenti al genere umano non riescono a mettersi d’accordo su niente: in quale religione credere, se sia meglio un sistema di socialismo o capitalismo, ma anche il vino bianco o rosso, il mare o la montagna. Anche quando siamo d’accordo sul fatto che qualcosa debba essere fatto, discordiamo facilmente sul modo migliore per farlo. Sembrerebbe, in altre parole, che il genere umano non sia geneticamente predisposto all’accordo; in effetti, alcuni studi rivelano che, all’età di 80 anni, avremo mediamente preso parte a circa 89.000 discussioni con i nostri cari.
Eppure, quando si tratta di trovare soluzioni e punti d’incontro, le cose non accadono in modo altrettanto naturale: sembra che circa il 90% dei conflitti interpersonali non giunga a un accordo. Ovunque è possibile osservare una mancanza di tolleranza verso le posizioni degli altri, una sempre minore volontà di abbracciare visioni diverse o di assumere una prospettiva più ampia. Uno dei problemi, da questo punto di vista, è che durante le dispute le persone si dà per scontato che le motivazioni proprie siano sempre giuste: un fenomeno conosciuto come “bias di attribuzione”.
Il problema sta anche nell’incapacità delle persone di vedere le cose dal punto di vista dell’altro, minando la possibilità di raggiungere un compromesso; nella nostra società, anzi, chi cerca il compromesso è spesso visto in maniera negativa, cioè come una persona debole, priva di polso e di ambizione. E anche quando si raggiunge un compromesso, a livello aziendale o commerciale, il problema è che esso lascia entrambe le posizioni non pienamente soddisfatte e con un po’ di amaro in bocca.
Eppure, per garantirci una sopravvivenza di specie, dobbiamo imparare a essere più collaborativi e a coltivare relazioni senza confini non solo di personalità e cultura, ma anche di genere, sessualità, credenze, razza, nazionalità, origine familiare, interessi di business e qualsiasi altro fenomeno che può caratterizzare noi o gli altri.
Anche quando siamo in disaccordo, conta più che altro come lavoriamo su di esso e nonostante esso. Oggi e in futuro, c’è bisogno di una consapevolezza nuova: che il compromesso non sia più vissuto come una perdita di terreno personale, bensì come una vittoria collettiva che dia soddisfazione a tutte le parti coinvolte. Questo libro intende fornire consigli per diventare persone collaborative e sempre più brave a gestire il conflitto, nonostante le inevitabili differenze che caratterizzano gli esseri umani.