Si tratta di una mente con due camere, ovvero divisa in una parte divina e una parte umana. È una condizione umana risalente al periodo della storia antica, in cui la mitologia e la percezione del divino influenzavano la vita quotidiana delle persone e la stessa idea di coscienza. La parte umana udiva voci e le interpretava come provenienti dagli dèi. Questi dèi non erano divinità giudicanti, morali o trascendenti, ma fungevano più come risolutori di problemi per ogni individuo.
Le voci erano allucinazioni che offrivano risposte quando una persona si trovava in una situazione stressante che non poteva essere risolta con metodi abituali. Questo non significa che le persone con una mente bicamerale fossero dei barbari che agitavano mazze e emettevano soli monosillabi. Erano creature sociali con un linguaggio pienamente sviluppato. Tuttavia, secondo Jaynes, il linguaggio da solo non era sufficiente per dare una definizione di coscienza.
La coscienza, nella definizione di Jaynes, è una sorta di cassetta degli attrezzi concettuali che non è "inclusa nell'hardware". È un "software" che doveva essere inventato, come strumenti quali la ruota.
La fase di transizione più importante verso questa nuova mentalità si verificò tra il 1000 e il 500 a.C., un'epoca da cui provengono fonti testuali significative: le più emblematiche sono l’Iliade, l’Odissea e naturalmente la Bibbia.
Questi testi mostrano il passaggio da una mente bicamerale a una mente conscia, dove gli individui cominciano a riflettere sulle loro azioni e pensieri in modo autonomo, senza la necessità di voci divine che li guidassero. Questo cambiamento segna l'inizio di una nuova era di consapevolezza e di auto-riflessione, elementi fondamentali per lo sviluppo della civiltà come la conosciamo oggi.