Il ritorno

Il primo settembre del 1969 un capitano di nome Muammar Gheddafi, appena ventisettenne, aveva detronizzato il re Idris e preso il potere in Libia. Nessuno ne aveva mai sentito parlare prima ma questo giovane, autopromossosi colonnello, portava con sé una ventata di novità e la speranza di una nuova era repubblicana. Appena salito al potere diede ordine di arrestare tutti gli ufficiali dell’esercito e fra questi c’era anche Jaballa Matar che, rientrando da una missione a Londra, venne condotto direttamente in carcere e vi restò 5 mesi per uscirne senza grado né uniforme. Poco dopo, nella primavera 1970, a Jaballa Matar venne offerto un posto amministrativo: era stato nominato primo segretario della delegazione permanente della Libia alle Nazioni Unite. 

La breve detenzione, la rimozione dai ranghi militari e la nomina corrispondevano alla modalità inizialmente messa in atto da Gheddafi per allontanare senza clamore gli esponenti di spicco della società libica e gli alti ufficiali dell’esercito. È così che Jaballa Matar accetta l’incarico e si trasferisce a New York con la moglie ed il primo figlio di appena 3 anni. Da lì a poco, nell’autunno del 1970, sarebbe venuto alla luce anche Hisham. 

Nel frattempo, però il regime si rafforzava e rivelava la propria natura, mostrandosi in tutta la sua spietatezza. Nel giro di due anni Gheddafi si proclamò capo di stato a vita e abolì ogni legge. E Jaballa Matar, che era un patriota fedele e legato alla sua terra natale, non poteva accettare di continuare a rappresentare un simile governo. Nel 1973 rinunciò all’incarico e rientrò in Libia stabilendosi a Tripoli, mentre divenivano sempre più note le sue posizioni critiche rispetto al regime. 

Nel 1979 la famiglia Matar fu costretta a lasciare la Libia, divenuta un luogo rischioso per tutti. Inizialmente madre e figli si trasferirono a Nairobi, che diventerà una delle prime fra le tante case “surrogate” di Hisham e l’anno seguente, nel 1980, l’intera famiglia riuscì a fuggire in Egitto.