Dalle rovine della Seconda Guerra Mondiale, la Germania è stata capace di reinventarsi come potenza industriale. La formula era semplice: manifattura di alta qualità, salari bassi e una decisa vocazione all’export. Per sostenere questo modello, lo Stato creò un sistema di banche pubbliche, le Landesbanken, che fornivano generosi finanziamenti alle imprese, spesso senza controlli reali.
Dietro al successo, però, era già visibile un punto debole. I guadagni infatti venivano reinvestiti sempre negli stessi settori – acciaio, chimica, auto – senza spazio per la diversificazione. All’epoca, infatti, l'innovazione veniva percepita come un rischio più che come un’opportunità. Ma quando la globalizzazione e la crisi del 2008 hanno scosso l’economia mondiale, il sistema tedesco ha mostrato tutti i suoi limiti. Le stesse banche nate per proteggere l’industria sono crollate sotto il peso della finanza globale.
La stabilità, inseguita per decenni, si è trasformata in immobilismo. Oggi settori simbolo del cosiddetto miracolo tedesco, come l’automotive, faticano a reggere il passo di player come Tesla o BYD. La Germania, troppo legata al suo modello vincente, ha reagito tardi ai cambiamenti, restando prigioniera del suo stesso passato.
La lezione che possiamo trarne oggi è chiara: un modello che non investe in nuove idee è destinato a esaurirsi. Per crescere e innovare, infatti, c’è bisogno di coraggio e di abbracciare il cambiamento. Una cosa che è mancata al miracolo tedesco e che l’ha portato al declino.