Tutte quelle lotte che mirano a eliminare il razzismo, la repressione, la povertà, il sessismo, l’omofobia, lo sfruttamento capitalista, la discriminazione in base ad abilità fisiche e mentali, e altri problemi che affliggono la nostra società possono riuscire nel loro intento solamente se fatte in modo collettivo. L’attenzione data ai singoli individui è figlia di questi tempi neoliberali che elogiano ed incoraggiano l’individualità sempre e comunque, anche quando non pertinente. Oggi si dà sempre meno importanza a un movimento inteso come gruppo di persone per esaltare solo le azioni dei singoli partecipanti. È successo così con Nelson Mandela, santificato dalla stampa come singolo eroe, nonostante egli, per primo, abbia sempre sottolineato come tutti i risultati conseguiti siano stati il frutto di un’azione collettiva portata avanti insieme ai suoi compagni, uomini e donne che hanno lottato per anni al suo fianco. Ed è successo lo stesso anche con Martin Luther King Jr e la collettività di persone alla base del movimento di liberazione afroamericano degli Stati Uniti a metà del Ventesimo secolo.
Riconoscere che lo sforzo è collettivo, e non dei singoli, è fondamentale. Questo infatti permette a ogni persona di sentirsi attivamente parte in causa quando si parla di lottare per un cambiamento. Ogni forma di libertà altro non è che l’esito di una lotta, di un processo di rivendicazione e di emancipazione continuo. Man mano che la società evolve, cambiano anche i modi con cui la libertà può essere negata. La libertà non è un diritto che una volta conquistato rimane per sempre. Per sua stessa natura la libertà va difesa ogni giorno, soprattutto quando viene messa in discussione, anche se questo avviene a migliaia di chilometri di distanza da noi. In un mondo globalizzato come il nostro, è necessario che ogni persona sia disposta a scendere in strada e a protestare per quello che è giusto. Le cose non capitano da sole: un intervento consapevole e di massa è l’unica possibilità che la libertà ha per sopravvivere.