Tutti sogniamo, anche quando, svegliandoci, non ce lo ricordiamo. Dovremmo dedicare attenzione al sogno, perché si tratta di un processo che sta alla base della nostra intera esistenza: pensiamo che il sogno sia irreale, in contrapposizione alla vita “vera”, eppure anche la vita da svegli è onirica, dato che trascorriamo la maggior parte del nostro tempo di veglia nei sogni generati dalla mente.
Nella tradizione tibetana si distingue tra ignoranza innata e ignoranza culturale. La prima è la base del samsara cioè il ciclo di morte e rinascita che è caratteristica distintiva degli esseri ordinari. È ignoranza della nostra vera natura e della vera natura del mondo, che ci porta a perderci nelle illusioni della mente dualistica. Il dualismo crea polarità e dicotomie, spezza l'unità dell'esperienza in giusto e sbagliato, in tu e io. Sulla base di queste divisioni concettuali, sviluppiamo attaccamento e avversione, cioè le risposte abituali alla vita che costituiscono la maggior parte di ciò che identifichiamo come noi stessi. Vogliamo questo, non quello; crediamo in questo, non in quello. Crescendo e imparando a conoscere il mondo, sviluppiamo la nostra opinione su come le cose sono e come dovrebbero essere. Gran parte della nostra istruzione rafforza l'abitudine di vedere il mondo attraverso una certa lente, così come le notizie che leggiamo e i media che consultiamo. Ci affezioniamo anche a piccole cose, un marchio di abbigliamento, sedersi su una certa sedia, ascoltare un genere musicale e spesso pensiamo che le nostre preferenze siano migliori di quelle altrui. Su larga scala, sviluppiamo religioni, governi, filosofie e psicologie concorrenti. L'ignoranza non è cattiva, è semplicemente un oscuramento della coscienza: condannarla è come essere arrabbiati con le nuvole perché coprono il sole. Preferenze e avversioni portano al male, ma anche al bene, portano a crudeltà ma anche a gentilezza. Finché non siamo illuminati, partecipiamo a questa dinamica, ma va bene così: in tibetano si dice, “quando sei nel corpo di un asino, goditi il sapore dell'erba”, vale a dire che dobbiamo apprezzare e valorizzare questa vita perché è la vita che si sta vivendo.
Diamo la colpa della nostra infelicità alla situazione che stiamo vivendo e crediamo che saremmo felici se potessimo cambiare le circostanze. Ma la situazione in cui ci troviamo è soltanto la causa secondaria della nostra sofferenza. La causa primaria è l'ignoranza innata e il conseguente desiderio che le cose siano diverse da come sono. La sofferenza è radicata nella nostra mente, portiamo dentro di noi la radice della sofferenza, l'ignoranza della nostra vera natura, ovunque andiamo. Così, c’è chi decide di sfuggire allo stress della città trasferendosi in montagna, e chi lascia l'isolamento della campagna per l'eccitazione della città. Il cambiamento può essere positivo perché le cause secondarie sono alterate e si può trovare contentezza, ma il senso di benessere dura poco, perché la radice del nostro malcontento si sposta con noi e produce nuove insoddisfazioni.