La nostra felicità più profonda non dipende dall’accumulo continuo di nuove esperienze o dal raggiungimento del piacere. Nasce invece dal saper lasciare andare quello che non è necessario, perché scopriamo di essere già completi così come siamo. Al contrario, la felicità basata sul piacere è effimera. Per sua natura quello che desideriamo è temporaneo. Come bambini insaziabili rincorriamo questa felicità sperando possa darci un piacere duraturo. Alla prima distrazione, però, il piacere svanisce e ci sentiamo svuotati, indifesi, piccoli.
Il cambiamento fa parte della vita. È inevitabile. Dobbiamo accettare che ci sarà sempre nella nostra vita un’alternanza tra piacere e dolore. Il dolore infatti non è il segno che le cose stanno andando male ma fa semplicemente parte della vita. Tutti provano dolore e piacere, nessuno escluso. L'insegnamento del Buddha ci ricorda che i nostri sforzi per controllare l'incontrollabile sono destinati a fallire. Voler ottenere sicurezza e felicità attraverso il controllo di qualcosa che è mutevole per sua intrinseca natura non fa che aumentare la nostra sofferenza. Nella nostra ansiosa ricerca di una fonte di felicità stabile e duratura, ignoriamo il fatto di essere già circondati dalla felicità. Questo ci porta a isolarci, allontanandoci dagli altri e alimentando un circolo di sofferenza autoimposto. Così, invece di trovare la felicità, finiamo solo per aumentare il nostro dolore.