Il termine violenza di genere è negli ultimi anni salito agli onori della cronaca per raccontare un universo altamente sfaccettato di soprusi e atti criminosi, che spaziano dal catcalling all’omicidio.
Alla base di questo tipo di violenza non vi sono solo “semplici” moventi, questa è infatti il prodotto di un modo di pensare, sentire e agire che vede in netta contrapposizione l’uomo e la donna e che trae la sua forza dagli stereotipi di genere. Nonostante la violenza di genere riguardi entrambi i sessi, le principali vittime sono le donne e le ragioni vengono abilmente illustrate dall’analisi di Carlotta Vagnoli.
Gli stereotipi sono opinioni e visioni delle cose altamente rigide e idealizzate, che si costituiscono per mezzo di un processo di iper-semplificazione. Un classico esempio è l’equazione “Italia = pizza, mandolino e mafia”, ma si può riscontrare anche nel modo di concepire l’identità sessuale e quella di genere. Nello specifico, gli stereotipi di genere prevedono l’esistenza di solo due categorie di individui, uomo e donna (non considerando per esempio i transessuali), sulla base delle caratteristiche biologiche, e ad ognuna di esse vengono generalmente attribuite alcune caratteristiche e peculiarità che variano da cultura a cultura. Vi è però una cosa che accomuna tutte le culture patriarcali, l’assegnazione di concetti quali bellezza e delicatezza al mondo femminile e di forza bruta e sicurezza al mondo maschile. L’elenco è lunghissimo (basti pensare alla differenza nei tagli di capelli, ai vestiti o ai giochi considerati normali per un genere e all’uso dei colori rosa e blu) ed è altamente improbabile che non si sia stati educati secondo questi standard nel mondo occidentale contemporaneo. La categorizzazione avviene sin da bambini, quando secondo un gioco delle aspettative il modello educativo prevede che i maschi non possano piangere e che le femmine debbano essere più passive, per esempio, con l’effetto di creare individui che invece di vivere appieno l’unicità dei propri sentimenti si adeguano a standard che legittimano una struttura sociale ben precisa (patriarcale, per l’appunto).
Per l’autrice, gli stereotipi rappresentano i presupposti ideologici che permettono la nascita della violenza vera e propria e tutti i dati e le ricerche in campo antropologico confermano la tesi. L’elemento di connessione è la cosiddetta “rape culture”, ovvero cultura dello stupro.