Thomas è un bambino molto intelligente. Se l’è sempre sentito dire, fin da piccolissimo, e in effetti è così. Frequenta una scuola per bambini con alto quoziente intellettivo e ha interessi e hobby molto sofisticati per la sua età. È circondato da persone che gli dicono quanto sia sveglio e brillante: i suoi genitori, i parenti, gli insegnanti. Si potrebbe pensare quindi che Thomas abbia un’autostima molto alta. Ma non è così. Thomas, infatti, incontra molti problemi quando fa i compiti a casa. Gli esercizi che sa completare con facilità li affronta tranquillamente. Ma quando si trova davanti a una difficoltà, si tira subito indietro. Pensa di non farcela e non ci prova neanche. Dice a sé stesso che è scarso, che quel determinato compito non riesce a farlo, e getta la spugna. Ma com’è possibile che succeda questo? Thomas sa che è intelligente, glielo dicono tutti da sempre. Eppure la sua autostima in quei momenti è pari a zero.
Negli Stati Uniti tantissimi genitori sono convinti che bisogna dire ai figli che sono intelligenti. I bambini sono subissati quindi da affermazioni come “stai andando alla grande” o “ce la farai, sei in gamba” e via dicendo. I padri e le madri sono convinti che questo continuo incoraggiamento aiuterà i bambini ad avere successo a scuola. Ma il caso di Thomas fa capire che non è così. Alcune ricerche affermano che i bambini che vengono educati in questo modo spesso evitano le situazioni difficili perché hanno paura di sentirsi umiliati. In sostanza, pur di non fallire, non si espongono in cose che non controllano al cento per cento. Inoltre tendono ad associare i loro impegni scolastici agli elogi che ricevono e questo non li aiuta ad avere un rapporto sereno con la scuola. Questo non significa che bisogna sminuire i propri figli o smettere di incoraggiarli; occorre invece accettarli per quello che sono, senza affibbiare loro un’etichetta, quella del vincitore, che alla fine rischia di danneggiarli.