Siamo in Messico, negli anni Ottanta. Il governo comincia ad attuare una serie di provvedimenti che colpiscono molto duramente le popolazioni indigene del Chiapas. Questi interventi, frutto di una visione economica neoliberista, hanno portato alla privatizzazione delle terre e delle risorse naturali, alla riduzione dei servizi pubblici, e al conseguente aumento della criminalità e della violenza. La decisione più radicale è stata proprio quella di sottrarre le terre agli indigeni per cederle a grandi imprese straniere. Questo ha portato alla dislocazione di migliaia di persone che hanno quindi perso la loro principale fonte di sussistenza. Le organizzazioni create dagli indigeni per reagire ai soprusi e difendere i loro diritti sono state ostacolate in tutti i modi dalle istituzioni. I leader di queste organizzazioni sono stati imprigionati e torturati. Il clima si è fatto così rovente che nel 1994, una di queste realtà, cioè il movimento zapatista di liberazione nazionale (EZLN) è insorto contro il governo messicano, chiedendo il rispetto dei diritti delle popolazioni indigene.
Si è sempre cercato di ridurre la questione del Chiapas a un semplice conflitto locale, ma la verità è che ciò che è accaduto in quelle terre va oltre i confini messicani. Questa lotta ha raggiunto i cuori di quella parte di umanità che non ha mai smesso di sognare la libertà per i popoli oppressi e una giustizia uguale per tutti.
Il messaggio dato dal Subcomandante Marcos, infatti, vale anche per tutte le popolazioni umiliate ed emarginate del mondo. In ogni luogo ed epoca, infatti, l’essere umano ha usato violenza contro altri esseri umani, contro i suoi simili. Gli individui vengono etichettati a seconda del loro credo, del grado di ricchezza, del colore della pelle e poi perseguitati e segregati. E tutto questo a beneficio di pochi privilegiati, che continuano a prosperare impunemente sulla sofferenza di uomini, donne e bambini.