Cosa insegna la vita quando si è a stretto contatto con la morte? E può un neurochirurgo, abituato a fronteggiare la morte attraverso il bisturi, riscoprire il significato della vita alla luce di una diagnosi personale di cancro? La storia di Paul Kalanithi ci insegna che la risposta è sì, e che il percorso che ne risulta può diventare profondo e catartico oltre che doloroso.
Cresciuto nella cittadina di Kingman, in Arizona, in una famiglia di origini indiane dove l'educazione era tenuta in grande considerazione, Paul si dimostrò fin da piccolo particolarmente incline alla letteratura. Fu sua madre, ossessionata dalla preparazione per il college, a trasmettergli il primo amore per i grandi autori e i libri classici. Questo interesse lo portò a ottenere una laurea in letteratura inglese e biologia umana alla Stanford University, dove si dedicò allo studio di autori come Whitman e Joyce. Questi scrittori, che indagavano la complessa tessitura dell'esistenza umana, prepararono il terreno per le future riflessioni di Paul sulle grandi domande della vita. Dopo Stanford, la sua sete di conoscenza lo portò all'Università di Cambridge nel Regno Unito, dove conseguì un Master of Philosophy in Storia e Filosofia della Scienza e della Medicina. Il suo periodo a Cambridge consolidò il suo interesse per le implicazioni etiche e filosofiche della medicina, vista da lui come un mezzo per esplorare cosa significhi vivere una vita piena di significato. La sola letteratura, infatti, sembrò sempre all'autore come semplice teoria, mentre la vera pratica della vita secondo lui stava nella sofferenza vera, quella dei pazienti affetti da disturbi neurologici e delle loro famiglie.
La svolta avvenne durante gli anni alla Yale School of Medicine, dove Paul incontrò la neurochirurgia. La decisione di entrare in medicina fu quasi un inevitabile capitolo successivo nella sua vita, guidata dalla volontà di affrontare le più palpabili manifestazioni della condizione umana: la vita e la morte nel contesto medico. La neurochirurgia, con le sue implicazioni scientifiche ma anche legate alla personalità dei pazienti, gli offrì la possibilità di sondare questi temi con immediatezza e gravità, un'opportunità che colse al volo. A Yale, oltre a brillare per i risultati accademici, iniziò a farsi notare per la sua empatia e per le sue capacità chirurgiche, ma anche per un approccio alla medicina profondamente riflessivo. Il ritorno a Stanford come residente segnò l'ultima fase della sua formazione in neurochirurgia. Qui, Paul non solo si confermò capace di gestire casi complessi con maestria tecnica, ma anche di comprendere e alleviare le tensioni emotive e filosofiche legate a tali interventi. La sua carriera prese rapidamente il volo, guadagnandosi il rispetto sia dei colleghi sia dei pazienti, che lo vedevano non solo come medico, ma anche come un vero e proprio consigliere.
Questo viaggio dal mondo dei libri a quello della neurochirurgia mostra come gli interessi intellettuali di Paul fossero profondamente intrecciati con la sua pratica professionale. La letteratura e la filosofia non rimasero mai in secondo piano; al contrario, continuarono a nutrire e arricchire la sua visione della neurochirurgia e del suo impatto sulla vita umana. Per Paul, la medicina non era solo una disciplina scientifica, ma una vocazione per comprendere a fondo la condizione umana.