La rabbia diventa negativa quando sfocia nella violenza ma in sé per sé ha degli elementi positivi in grado di assicurare il benessere psico-fisico di una persona. La rabbia in prima istanza è un’affermazione dei diritti e della propria importanza nel mondo. Ci si arrabbia quando ci si sente presi in giro, ingannati o sottovalutati nel proprio intrinseco valore di esseri umani. La rabbia, quella sana e costruttiva, è intimità, accettazione, coraggio, rivolta e riconciliazione. È anche indipendenza e libertà, un pensiero razionale che si forma da un dolore irrazionale in grado di portare a un’azione rivoluzionaria. È giustizia e passione, una motivazione forte a ribaltare una situazione ingiusta, empatia e amor proprio. La rabbia è una richiesta di responsabilità, un atto sociale, un’opportunità per il futuro. Le persone che riescono a sperimentare la rabbia sono più ottimiste di quelle che tendono a sopprimerla perché la rabbia permette di sentirsi in una posizione di potere in grado di portare a un reale cambiamento. Ed è per questo che la rabbia, in ultima istanza, è anche un’espressione di speranza.
Donne e uomini, però, vivono la rabbia in due modi completamente diversi e questo fatto è uno degli elementi alla base delle discriminazioni di genere. Per fare un passo avanti nell’uguaglianza di genere è necessario prendere coscienza di come la società abbia nei secoli plasmato i ruoli maschili e quelli femminili in modo tale da dare potere ai primi e relegare i secondi in una posizione di subordinazione. Uno dei tratti principali di questo disegno d’ineguaglianza è dato proprio dalla gestione diversa della rabbia propria degli uomini e delle donne.