Partiamo dalle basi, cercando innanzitutto di capire cosa si intende per sensibilità. La sensibilità viene definita come la capacità di percepire, elaborare e rispondere in modo profondo all'ambiente che ci circonda. Si tratta di una capacità umana che si articola su due livelli. Il primo ci permette di percepire informazioni attraverso i nostri sensi. Il secondo ci fa riflettere a fondo sulle informazioni ricevute e ci permette di trovare delle connessioni tra queste informazioni, andando anche a pescare tra i ricordi e altri tipi di conoscenze pregresse.
La sensibilità è un tratto umano fondamentale. Siamo tutti sensibili, ma alcune persone lo sono più di altre. Chi è più sensibile percepisce ogni cosa più profondamente, sia in positivo che in negativo. Le persone ad alta sensibilità, infatti, reagiscono di più a emozioni quali la sofferenza, il dolore e la perdita, ma lo fanno anche nei confronti della bellezza, della gioia, della curiosità e di nuove idee. Per questo gli autori suggeriscono un termine secondo loro migliore rispetto a “sensibili” per definire questo tipo di persone, e cioè “reattive”.
Fino a poco tempo fa, la sensibilità era considerata una debolezza a causa del cosiddetto “mito della durezza”. Provare emozioni in pubblico – soprattutto piangere –, essere empatici, chiedere aiuto quando si ha bisogno. Sono tutte cose che la nostra società ha stigmatizzato per decenni nel nome della forza e della resistenza, soprattutto per quanto riguarda il genere maschile. Anche i genitori di bambini ad alta sensibilità hanno cercato di eliminare questo tratto dai propri figli, considerandolo alla stregua di una malattia. Oggi per fortuna le cose stanno cambiando e la sensibilità sta venendo riconosciuta per quello che è, e cioè un super potere.