Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti afferma che, ogni anno, tra le 600.000 e le 800.000 persone in tutto il mondo vengono trafficate per lavori forzati o per sesso. L’Unicef afferma che circa un milione di bambini e adolescenti sono oggetto di tratta ogni anno. E tanti giornali e riviste in Europa scrivono di traffici di bambini e giovani utilizzati per la vendita di sesso.
Numeri e cifre che spesso sono frutto di fantasie. Ci sono sicuramente dei casi di migrazione forzata, ma non serve generalizzare né speculare su questi episodi. La maggior parte degli scritti e dell’attivismo sulla tratta dei migranti non si basa su ricerche empiriche ma esclusivamente su statistiche, spesso pubblicate con poche spiegazioni sulla metodologia e definizioni poco chiare.
Alcune organizzazioni si attengono ai numeri prodotti dalla CIA, che in genere è considerata una fonte poco affidabile e per niente neutrale in fatto di questioni internazionali. Il motivo per cui le statistiche su questa “nuova schiavitù” sono così alte è che spesso vengono prodotte in malafede. I ricercatori etichettano automaticamente le donne migranti che lavorano come prostitute come “persone trafficate”, seguendo la logica secondo cui nessuno sceglie di vendere sesso volontariamente.
Questo modo di pensare infantilizza le donne migranti, eliminando a priori l’idea che si tratti di una scelta. Come se tali donne fossero degli oggetti da spostare da una parte all’altra e non esseri pensanti.