Ha ancora senso parlare oggi di capitalismo, o almeno di farlo nel modo in cui lo si è sempre fatto? È questa una delle domande principali che fonda l’intera riflessione di Yanis Varoufakis, articolata come un dialogo immaginario con suo padre. Il genitore di Varoufakis era un uomo di sinistra che ha vissuto tutta la sua vita nella speranza che il mondo dominato dal capitalismo potesse fare spazio a una società più giusta, fondata sull’uguaglianza e sul rispetto dei lavoratori. L’audace proposta dell’autore è che sì, il capitalismo oggi è stato sconfitto, ma ha lasciato spazio a qualcosa di ancora peggiore, ben lontano dal sogno socialista di uguaglianza e libertà. Ciò non significa che le strutture capitalistiche siano completamente scomparse.
Tuttavia, il nuovo sistema dominante è qualcosa di sostanzialmente diverso. Per comprendere la realtà in cui viviamo, bisogna dunque abbandonare i classici riferimenti socio-economici e dare un nuovo nome alle cose. Non dunque un “Ipercapitalismo” ma piuttosto qualcosa che a partire dalla sua definizione comunichi già la sua prorompente novità. È per questo che Varoufakis introduce il termine “Tecnofeudalesimo” per indicare il nuovo paradigma economico che ha di fatto relegato il capitalismo tradizionale in secondo piano. Il tecnofeudalesimo si è insinuato nelle vite di tutti gli esseri umani, in maniera subdola e non sempre evidente, ma soprattutto ha cambiato in maniera forse irreversibile gli equilibri tra le grandi potenze economiche.
Comprendere cosa sia il tecnofeudalesimo non si limita dunque a una riflessione su come le tecnologie contemporanee, in particolare quelle basate su cloud e big data, abbiano cambiato la quotidianità dei loro utilizzatori. Significa piuttosto prendere consapevolezza del fatto che siamo tutti contemporaneamente spettatori e parte attiva di un cambiamento epocale, destinato a mutare radicalmente il nostro modo di essere cittadini e lavoratori.