La crisi climatica è sulla bocca di tutti. Qualcuno nega l’esistenza del problema, qualcuno sminuisce l’impatto dell’essere umano, altri, i più, concordano nell’affermare che si tratta della grande sfida dei tempi odierni. La scienza si è espressa in maniera pressoché unanime sulla questione: siamo sull’orlo di un precipizio. Tuttavia, vero è che non conosciamo alla perfezione la profondità del burrone di fronte a noi. I modelli predittivi attuali sono ancora approssimativi, in quanto la nostra comprensione dei sistemi climatici e biologici è ancora parziale. Viste queste premesse, dunque, quali sono le nostre aspettative per il futuro? Riusciremo come specie a superare la più grande crisi che abbiamo mai dovuto affrontare o andremo incontro a un drammatico destino?
Con The Best of Times, The Worst of Times, l’accademico Paul Behrens offre un’esaustiva analisi sul tema. La sua ricerca prova le difficoltà che si hanno nell’affrontare l’argomento, che sono in particolar modo due: la complessità che sta nella distribuzione delle responsabilità e la grandezza del fenomeno, tale da provocare una reazione psicologica di chiusura, che ne impedisce la comprensione. La crisi climatica non riguarda perciò il semplice cambiamento del clima, ma anche la capacità di raccontarla, il modo in cui affrontiamo i cambiamenti a livello politico, la distribuzione delle risorse, i modelli economici e tanto altro. Nel confrontarci con i dati, inoltre, la realtà stessa può essere vittima delle nostre aspettative, e per questo motivo la struttura del libro è suddivisa in due filoni di analisi, uno ottimista e uno pessimista, esplorandone le ragioni e le sfaccettature. Gli ottimisti propendono verso la fede nelle scoperte scientifiche, basandosi su tutti i traguardi che siamo riusciti a raggiungere negli ultimi millenni. I pessimisti invece si soffermano maggiormente sull’impatto che abbiamo avuto sul pianeta e sulla scia di devastazione che ci siamo lasciati dietro, che oggi appare innegabile, lasciando aperti pochi spiragli per scenari in cui la nostra civiltà riuscirà a sopravvivere. Entrambe le prospettive hanno la loro ragione di esistere. Allo stesso tempo, però, bisogna tenere in conto che anche nelle migliori delle ipotesi, assisteremo a enormi catastrofi ambientali. I danni sono troppi e il tempo per agire è poco. Gli scienziati parlano della nostra era geologica usando il termine “antropocene”. Siamo una superpotenza geo-biologica e l’equilibrio dei sistemi naturali per come li conosciamo è andato perso.