Parlare di cittadinanza significa parlare di una condizione estremamente specifica: i cittadini non sono semplici residenti, né persone unite da un senso di appartenenza o da legami di sangue. Il filosofo tedesco del diciottesimo secolo Immanuel Kant ha riassunto al meglio tutti i diritti che sperava un giorno potessero definirla: è cittadino colui che beneficia del diritto legale di non obbedire a nessun’altra legge che quella a cui ha dato il suo consenso. Il cittadino non deve ringraziare nessuno per i suoi diritti, che sono innati e gli appartengono.
Una cittadinanza libera e politicamente indipendente, se tradotta nell'esperienza americana moderna, significa che nessun americano è diverso davanti alla legge rispetto a qualsiasi altro, né sulla base di razza, classe, sesso, nascita o denaro, né sulla base di pretese storiche atte a giustificare un vantaggio nella contemporaneità, come si trattasse di una sorta di risarcimento. Ancora, nessun senatore o presidente concede nulla a un americano: i cittadini non devono la loro libertà e i loro diritti a un governo, sono portatori di diritti naturali e inalienabili. Il concetto di cittadinanza costituzionale occidentale si è lentamente evoluto attraverso i secoli comprendendo una gamma sempre più ampia di diritti e l'inclusione di coloro che erano stati precedentemente esclusi. Nel ventunesimo secolo, l'idea occidentale di cittadinanza si avvicina alla sua natura più logica, con la piena emancipazione dei poveri, delle donne e delle minoranze. Purtroppo, il voto non è ancora un diritto inalienabile per oltre tre miliardi di persone, e in molte democrazie fittizie spesso subisce la coercizione implicita o diretta. La perdita di fiducia nell'integrità del voto è il primo segno di morte della democrazia, perché il voto diventa un esercizio futile e cessa di essere baluardo della cittadinanza.