Il suo primo lavoro post MBA è come assistente del presidente della D. H. Blair Investment Banking Corp, a New York. È il 1993 e Spier ha l’entusiasmo di chi sa cosa vuole dalla vita: essere un investitore di successo, fare soldi a palate e dimostrare al mondo di essere il migliore. In fondo, aveva frequentato la Harvard Business School e la Oxford University, un biglietto da visita mica male per sfondare nel mondo della finanza.
Dopo appena sei mesi alla D. H. Blair Investment Banking Corp, Spier si sente profondamente infelice. L’ambiente è diverso da come si aspettava. Innanzitutto aveva scoperto di non essere l’unico assistente del presidente. Erano in tre. Tutti e tre iper qualificati e tutti e tre che volevano la stessa cosa, cioè primeggiare. Spier capisce ben presto e a sue spese una regola non scritta di Wall Street. Ci sono sempre più persone disponibili di quelle che realmente servono per svolgere un determinato lavoro. E la concorrenza è spietata. Ma non voleva mollare. Sarebbe stata una macchia indelebile nel suo orgoglio. Cosa avrebbe detto ai suoi compagni di classe? E alla sua famiglia? L’opinione degli altri contava per lui più della sua. E così, strinse i denti. Si convinse che, se fosse riuscito a concludere almeno un affare, avrebbe potuto andarsene dalla D. H. Blair Investment Banking Corp da vincente. Purtroppo però questo compito si rivelò più arduo del previsto. Lavorare in questo settore implicava due cose: una certa aggressività nelle vendite e una discutibile onestà. L’ambiente all’interno della D. H. Blair Investment Banking Corp rifletteva in toto la cultura tipica di Wall Street. Per avere successo bisognava superare determinati limiti e operare in zone grigie. Bisognava fare soldi a tutti i costi. Sconfortato, dopo 18 mesi, Guy Spier decide di mollare.