Per anni si è creduto che la perdita di memoria e lucidità fosse una conseguenza inevitabile del tempo che passa, quasi un declino naturale impossibile da fermare. Oggi, però, le neuroscienze ci offrono una prospettiva diversa. L’Alzheimer, infatti, non è semplicemente il risultato dell’invecchiamento biologico, ma si configura come una risposta specifica e complessa a diversi fattori che alterano l’equilibrio del cervello, spingendolo così, per autoprotezione, a ridurre le funzioni più elevate. Spesso questa patologia si sviluppa in modo silenzioso per anni, prima del manifestarsi dei segnali iniziali. E proprio questo porta a pensare che possa esistere un margine di intervento precoce, un periodo definito in cui è ancora possibile prevenire o rallentare significativamente il deterioramento cognitivo.
A questo punto, però, dobbiamo capire meglio cosa realmente accade all'interno del cervello. Non si tratta infatti di una “rottura” improvvisa o di un malfunzionamento isolato, bensì di una trasformazione graduale, innescata da precise cause scatenanti. Tra queste troviamo gli squilibri metabolici, come la difficoltà nella gestione degli zuccheri. E ancora: infiammazioni croniche che danneggiano i tessuti; l'esposizione prolungata a sostanze tossiche ambientali; carenze nutrizionali specifiche che compromettono le funzioni cerebrali; e, infine, fattori genetici che possono aumentare la predisposizione.
Va ricordato, inoltre, che l’Alzheimer non si presenta come un’unica patologia ma come un insieme di varianti con origini distinte. A volte, la radice del problema è un sistema immunitario iperattivo che attacca i tessuti cerebrali. Altre volte, la causa principale è l’insulino-resistenza, che impedisce al cervello di utilizzare correttamente il glucosio. In alcuni casi può trattarsi di una carenza prolungata di ormoni essenziali e di micronutrienti vitali per la funzione neuronale. C’è poi da dire che anche la genetica gioca un ruolo importante. Chi possiede il gene ApoE4, per esempio, ha una predisposizione maggiore allo sviluppo di questa malattia.
Ma perché il cervello sceglie questa risposta? Lo fa per difendersi. Quando è sottoposto a stress cronici, il cervello umano opta per una strategia di sopravvivenza in cui tende a risparmiare le risorse. Per questo riduce intenzionalmente le connessioni sinaptiche e limita le attività più complesse. Si tratta di un meccanismo di adattamento, una sorta di ritirata temporanea per resistere alle minacce. Purtroppo però, con il passare del tempo, questa strategia difensiva si traduce in perdita di memoria, disorientamento e crescenti difficoltà logiche.