La diffusione dell'intelligenza artificiale ha scoperchiato un vaso di Pandora, mettendo in discussione ciò che definiamo conoscenza, riscrivendo le regole del lavoro, dando vita a nuove paure e alla speranza di un futuro in cui la tecnologia possa alleviare le difficoltà della vita umana. Secondo Matteo Pasquinelli, per comprendere cosa rappresentino le IA, non bisogna cadere nelle trappole di estremi utopici o distopici, ma occorre analizzarne la storia e il rapporto con l’organizzazione del lavoro. In questo modo, potremo evitare di sottovalutarne l’impatto o di sopravvalutarne la natura.
La tesi dell’autore, condivisa da molti esperti del settore, è la seguente: l’IA non è l’imitazione dell’intelligenza biologica, bensì di quella sociale. In altre parole, essa ricalca una parte ben precisa dell’intelligenza umana: quell'intelligenza collettiva che da sempre mettiamo in atto nel nostro vivere in società. Lo fa però con connotazioni ben definite, ovvero sulla base degli assunti ideologici e delle credenze scientifiche e non di un determinato periodo storico. Insomma, è un’intelligenza nei limiti di ciò che pensiamo possa essere un'intelligenza. A sostegno di questa tesi ci viene incontro la storia dell’automazione, dalla nascita della macchina a vapore durante la prima rivoluzione industriale fino agli algoritmi di machine learning. L’autore si concentra in particolare su un filone d’analisi: la creazione di macchine che imitano il modo in cui l’essere umano ha organizzato collettivamente il lavoro e il processo che ne consegue. Questo tema lo porta a delineare quella che chiama la "labor theory of machine intelligence", ovvero la teoria del lavoro dell’intelligenza della macchina.
L’approccio di Pasquinelli, dunque, mira a far luce sull’intelligenza artificiale utilizzando il filtro delle forze sociali e delle relazioni di potere che intercorrono in una certa società ed economia. Quella delle macchine intelligenti è una storia sociotecnica. Se in passato l’occhio del padrone della fabbrica controllava da vicino gli operai e l’alienazione dei lavoratori derivava dall’automazione delle macchine, oggi gli algoritmi, su scala globale, esercitano un altro tipo di controllo e l’alienazione assume nuove forme. Una cosa però è certa: le macchine e i computer che creiamo, per quanto possano sembrare intelligenti, sono semplicemente un'espressione più complessa delle logiche del lavoro capitalista, portando con sé tutte le gerarchie e le discriminazioni presenti nella società.