L’insegnamento del Buddha si basa sulle Quattro Nobili Verità. Questi principi sono tutti legati al concetto di sofferenza. Soffrire, nella visione buddista, è un passaggio inevitabile nella vita e può portare alla pace. Secondo il Buddha non si deve sfuggire alla sofferenza, perché essa rappresenta una formidabile occasione di crescita, di evoluzione. Nutrire compassione nei confronti della propria sofferenza, fa sì che le ferite del cuore, dell’anima guariscano e non facciano più male.
Ma veniamo, appunto, alle Quattro Nobili Verità. Il Buddha le espone nel suo primo importante discorso, che pronuncia ai suoi discepoli poco dopo aver raggiunto l'illuminazione.
La Prima Nobile Verità è la sofferenza stessa, in sanscrito dukkha, che nel corso della vita può prendere varie forme. In realtà, è importante puntualizzare che tradurre dukkha con la parola sofferenza non è propriamente corretto. Nel libro, per far capire meglio il concetto, si dice che dukkha è qualcosa di amaro, in inglese bitter. Mentre la felicità è dolce, sweet. Dukkha indica una sensazione molto più sfaccettata e complessa, che non ha una corrispondenza perfetta nel linguaggio moderno. Ad ogni modo noi usiamo comunemente il termine sofferenza, che può essere fisica, mentale, oppure può essere presente in noi come senso perenne di insoddisfazione.
La Seconda Nobile Verità, samudaya, è ciò che causa la nostra sofferenza. Secondo il buddismo non bisogna avere paura di indagare le radici della nostra insoddisfazione.
La Terza Nobile Verità, nirodha, afferma che il dolore può cessare. Non siamo condannati a soffrire, anzi; la gioia è alla portata di tutti.
La Quarta Nobile Verità, in sanscrito marga, è rappresentata dal cammino verso la cessazione della sofferenza. Attraversando questo sentiero saremo in grado di porre fine al nostro dolore perché impareremo a non procurarcelo più. Saremo liberi e felici e ci sentiremo finalmente integri, in connessione profonda l’uno con l’altro.