Sconvolgere il mondo è sempre stato lo scopo delle menti che vivevano e vivono nella Silicon Valley. Questa opera di demolizione e convincimento è iniziata due decadi fa e ha avuto il suo culmine con l’elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti. Se ben ricordiamo: Facebook, Google, Twitter non hanno esitato a chiudere un occhio al proliferare di notizie false sulle loro piattaforme durante le elezioni presidenziali. I motivi per cui hanno fatto questo, li ritroviamo nelle loro concezioni del mondo. Nelle note colonne giornalistiche del “New York Times” (intitolate proprio The know it alls), Noam Cohen racconta le visioni che la Silicon Valley ha ma soprattutto aveva sul mondo. Cohen sottolinea come persone come Jeff Bezos, Peter Thiel, Sergey Brin, Larry Page e Mark Zuckerberg siano cresciuti avvolti da queste idee di rivoluzione, intraprese sin dal 1960 e riassunte nei lavori e nelle menti della Standford University. Ecco quindi che nelle pagine di questo libro scopriamo come è cresciuta e come si è alimentata la cultura della Silicon Valley come forza politica ed intellettuale, prima nella vita degli americani e poi nelle nostre vite. La Standford University è stata il covo di questa forza, una vera e propria incubatrice di questa nuova e prominente classe di ragazzi e poi di uomini super geek. Uomini intelligenti, preparati, curiosi che hanno abbracciato questa filosofia individualista e hanno costruito le loro aziende plasmandole con idee che integrassero la loro visione. Questa nuova classe di imprenditori nutrita da ideali personali ed egotici è diventata il filtro da cui guardiamo il mondo, queste menti hanno messo da parte la società così come l’avevamo assimilata e hanno fatto largo invece ad una società che guarda sé stessa solo attraverso Internet. Noam Cohen studia questi nuovi imprenditori, i loro ritratti personali, le loro vite. Riassume lo sviluppo della mentalità che domina questi uomini, mentalità che poi hanno riversato su di noi e sul mondo intero. Questo libro ci aiuta a riflettere sul fatto che non è possibile che un solo algoritmo abbia creato tutto ciò che ora è sotto i nostri occhi. L’autore inoltre ci fa riflettere su alcune domande importanti: possono questi uomini migliorare il mondo semplicemente dando un accesso illimitato alle informazioni, utilizzando codici e bit? Un mondo senza regole, quindi? Per le loro menti sì: sono stati allevati da persone che pensavano che questo mondo fosse possibile. Ma dove si trova esattamente la correlazione tra le loro convinzioni e il successo che sono riusciti ad ottenere? Bene, secondo l’autore, queste sono domande inquietanti sul nostro futuro e sul concetto che custodiamo di democrazia. Domande che dobbiamo necessariamente porci, non possiamo esimerci. Il libro non ha avuto accoglienza negli USA, dove l’autore viene tacciato di essere troppo retorico. Invece il suo è un tempismo perfetto: non potremo evitare a lungo di chiederci che fine hanno fatto i nostri valori e dove davvero vogliamo ritrovarci tra dieci, venti, cinquanta anni. Vogliamo un futuro deciso dagli algoritmi? Continueremmo a credere in noi, se vivessimo in quel futuro? Le condizioni socio-economiche che vediamo sotto i nostri occhi, nelle quali in un modo o nell’altro ogni imprenditore si troverà ad operare, sono situazioni dove tutti noi ci troviamo ad operare. Non possiamo sapere ciò che accadrà dopo: le informazioni sono poche e le risorse limitate, per non parlare della competizione che è sempre molto elevata. Il mondo sta cambiando ed è già cambiato a causa di una nuova radicale visione che proviene da oltreoceano e il tempo a nostra disposizione sembra si riduca. O forse davvero ormai è ridotto. Questo significa che dobbiamo adattarci sempre. Questo libro è quindi non solo la storia della Silicon Valley ma è anche un po’ la storia di noi tutti. Vediamo alcune di queste grandi personalità che hanno solcato la generazione di imprenditori geek provenienti dalla Standford University e cresciuti a pane e bit.