Nel diciannovesimo secolo, l’Europa subì una profonda trasformazione sociale, politica ed economica. Se da una parte il capitalismo portò all’incremento della ricchezza, della cultura e della civilizzazione, dall’altra causò disordini di ordine politico e sociale, tanto da causare una reazione negativa al liberalismo e la ricerca di soluzioni alternative.
La più importante di tali soluzioni alternative è stato il Marxismo, e in particolare il Marxismo ortodosso che, entro il secondo decennio del 1900, era diventato la principale dottrina seguita da moltissimi partiti socialisti europei. Nonostante il nome, tale corrente politica si sviluppò in realtà dopo la morte di Marx nel 1883, e fu principalmente il risultato del lavoro di due dei suoi più importanti discepoli: Friedrich Engels e Karl Kautsky.
Nel tentativo di rendere più popolari e accessibili i pensieri di Marx sul movimento socialista, i due accentuarono gli aspetti deterministici e scientifici del pensiero del loro maestro, creando infine una dottrina basata sull’inevitabilità della lotta di classe e sul materialismo storico – cioè sul primato delle forze economiche e di natura materiale, più che culturali o spirituali, come forze motrici della storia.
Ma anche questa dottrina cadde presto in crisi: le sue previsioni si rivelarono infatti inesatte. Questa incapacità di leggere la storia nel suo svolgimento lasciò quindi spazio a una versione di socialismo non marxista e totalmente nuova.
Furono i partiti socialisti francesi e tedeschi a presentare i primi dubbi nei confronti del Marxismo ortodosso. In particolare, in Germania il troppo teorico Marxismo ortodosso di Kautsky ed Engels si contrappose alle richieste di cambiamento pratico proposte da Eduard Bernstein. Bernstein non era un socialista qualsiasi, bensì uno dei leader intellettuali dell’SPD – il partito socialista più forte di tutta Europa – nonché amico stretto e collega di Marx quando egli era ancora in vita. La sua visione non poteva quindi passare inosservata
Secondo tale visione, il materialismo storico del Marxismo ortodosso non era più in grado di spiegare le dinamiche né del capitalismo contemporaneo, né della transizione al socialismo. Bernstein affermava che la fede dei Marxisti ortodossi nell’inevitabilità del socialismo portasse a una passività politica pericolosa, che sarebbe costata loro l’entusiasmo delle masse. Non far altro che parlare di un astratto avvenimento futuro aveva per lui poco valore: i socialisti dovevano piuttosto concentrare la loro attenzione su un’organizzazione politica ed economica in grado di lottare per la creazione di un mondo migliore. Bernstein attaccò anche il secondo pilastro del Marxismo ortodosso, la lotta di classe. Tanto quanto il materialismo storico, infatti, la considerava storicamente inaccurata e politicamente debilitante.
In poche parole, egli supportava l’idea di rimpiazzare il materialismo storico con la convinzione che l’attività politica dovesse essere primaria e centrale, e rimpiazzare la lotta di classe con il valore della cooperazione tra classi. Quest’ultimo concetto si basava sulla convinzione che gli individui, motivati dai loro ideali e dalla visione di un mondo migliore, potessero e dovessero unirsi e usare il potere della democrazia per ridare gradualmente forma al mondo.