Una volta raggiunto l’ultimo anno di scuola, l’autore aveva un solo obiettivo: allontanarsi il più possibile dalla sua città natale. Tutto sommato non era un brutto posto in cui crescere, non era eccessivamente pericoloso. Però c’era comunque una certa dose di criminalità nei dintorni e la madre dell’autore gli ripeteva sempre che il suo obiettivo doveva essere ottenere il meglio da sé stesso e che questo difficilmente sarebbe potuto accadere rimanendo per tutta la vita lì dov’era cresciuto. Sua madre era determinata a crescere ragazzi intelligenti e disciplinati, capaci di superare le tentazioni dei quartieri poveri, in modo che potessero un giorno andarsene e spiccare il volo.
Fin da piccolo si vedeva che Iguodala aveva un talento particolare, e per lui quegli sprazzi di talento sono stati una benedizione, perché molte persone del quartiere lo hanno aiutato a stare fuori dai guai. Anche se alcuni compagni ci si andavano a ficcare, lui veniva escluso perché gli dicevano che non era fatto per quella vita, che era destinato a qualcosa di più grande. Ma per quanto talentuoso, l’idea di giocare in NBA non è mai scontata per un povero ragazzo nero di una piccola città. Perché a volte nella vita basta prendere alcune decisioni sbagliate e poi non si può più tornare indietro.
Anche l’autore, come molti altri cestisti prima di lui, si è dovuto confrontare con la tematica del razzismo fin da quando era piccolo. Nonostante fosse un ottimo studente, aveva un professore che lo trattava male in quanto persona di colore. A causa di altre esperienze simili, quando arrivò il momento di scegliere il college, Iguodala prese decisioni ragionate. La scelta del college è molto importante per un cestista americano, perché il campionato NCAA dei college americani è il trampolino di lancio verso l’NBA. Iguodala aveva offerte da più di un’università, ma alla fine bocciò Arizona perché l’allenatore della squadra di basket era bianco, mentre optò per l’Arkansas di Nolan Richardson, allenatore nero. Tuttavia, solo poche settimane dopo il suo impegno, Richardson diede le sue dimissioni proprio per problemi razziali, e a quel punto l’autore tornò sui suoi passi e andò in Arizona.
Iguodala nel suo libro è abbastanza critico verso il sistema dei college americani a livello di basket. Lo definisce quasi come un “racket”, perché di solito negli sport professionistici metti in gioco il tuo corpo in cambio di uno stipendio, ma durante il college questo non accade. Vieni spremuto al massimo, si giocano tantissime partite, ma nessuno ti paga. Peccato però che nel frattempo il college fatturi cifre enormi attraverso il campionato NCAA, che è super seguito, e non considerato come una lega minore di poco conto. Secondo l’autore, in cambio i giocatori non ottengono nemmeno un’istruzione adeguata, tutto ciò che vogliono i college è sfruttare i sogni, il corpo e le abilità dei ragazzi per fatturare il più possibile. Per questo i talenti sportivi vengono reclutati con borse di studio e altri metodi, non perché ci sia interesse anche a istruirli. Iguodala dice di aver giocato con ragazzi che sapevano a malapena leggere.