L’autore comincia la sua lunga dissertazione su natura umana e prestigio proprio partendo da questo punto. Non ci sono premi più alti, valori più importanti o significati alternativi. La vita è un gioco la cui posta in palio è sempre e solo lo status. Altri premi sono possibili lungo la via, ma nessuno è più importante di acquistare status, prestigio, valore agli occhi della comunità. In questo modo Will Storr non vuole svalutare o sminuire le grandi imprese degli uomini, ma inserirle in una cornice di gamification che, secondo lui, esiste dall’alba dei tempi.
Per farlo, racconta la storia di Ben Gunn. Ben era un ragazzino gallese di 14 anni quando, chissà per quale motivo, ha sollevato una sedia su un compagno della casa di cura di 11. Da quel giorno, sostiene, è iniziata la sua vera vita. Prima in riformatorio e poi in prigione, ha trascorso la maggior parte di questa vita dietro le sbarre. Eppure l’ha ritenuta preziosa. È stato capace di diventare un punto di riferimento per i ribelli del carcere, guidando scherzi e vere e proprie sommosse contro le guardie. E ha sempre evitato di uscire per buona condotta. Anche quando ha incontrato una donna di cui si è innamorato, che gli ha promesso una vita onesta e un cottage in campagna, ha continuato a combinare guai ogni volta che si avvicinava la fine della sua sentenza. Facendola così prolungare. Il motivo? Dentro il carcere era qualcuno, seppure ingabbiato e privo di libertà, mentre fuori avrebbe perso del tutto il suo status.