Si sente spesso dire “sento il tuo dolore” e la maggior parte delle persone identifica in questo sentimento profondo il significato ultimo della parola empatia. Questo termine, però, contiene in sé tre principali gradi di coinvolgimento. I ricercatori definiscono “condivisione dell’esperienza” o empatia emozionale quando un individuo riesce a vivere in prima persona le emozioni degli altri. Per esempio, una persona vede un’altra andare in pezzi per aver ricevuto una brutta notizia e, a sua volta, si sente distrutta come se quella brutta notizia la toccasse personalmente. Ancora prima che il termine empatia fosse inventato, alcuni filosofi, tra cui Adam Smith, avevano definito questa condivisione “sympathy” o “fellow feeling”, cioè la capacità di condividere i sentimenti altrui. La condivisione dell’esperienza può avvenire sia in contesti positivi, sia in contesti negativi, e rappresenta la forma più basica dell’empatia. La condivisione dell’esperienza non è un tratto solo umano: diversi studi scientifici l’hanno riscontrata anche in alcune specie animali come, per esempio, scimmie e topi. La condivisione dell’esperienza è qualcosa che apprendiamo istintivamente fin da piccoli e può avvenire, anche inconsciamente, in una frazione di secondi. Pensiamo, per esempio, a quando un neonato inizia a piangere e in un attimo anche gli altri neonati presenti nella stessa stanza iniziano a piangere.
Un secondo grado di coinvolgimento è quello che viene definito “mentalizzazione” e rappresenta la forma cognitiva dell’empatia. L’empatia cognitiva permette di capire i pensieri, le idee e le visioni degli altri. Per esempio, mentre condividiamo la sofferenza di un nostro amico, viene spontaneo anche cercare di capire come sta, a cosa pensa e cosa farà dopo per uscire da questa situazione di sofferenza. La mentalizzazione è una forma più sofisticata di empatia rispetto alla condivisione, e si basa su abilità di deduzione che si formano nel tempo grazie all’esperienza.
La terza forma di empatia è chiamata “interesse empatico” ed è quella che ci spinge a prenderci cura di qualcuno migliorando la sua situazione. Guardare un amico che soffre, percepire la sua stessa sofferenza e cercare di intuire quali possano essere i suoi pensieri non fa di noi dei bravi amici: aiutarlo a uscire dalla situazione di sofferenza invece sì.