Nel 2000 Stefan Sagmeister decise di prendersi un anno sabbatico da scadenze, briefing e clienti per esplorare come sarebbe cambiato il suo lavoro di graphic designer eliminando quelle che erano alcune delle caratteristiche in questa professione. Durante tutto l’anno Sagmeister ha tenuto un diario – una cosa che in realtà fa più o meno regolarmente da quando ha quattordici anni – in cui ha annotato man mano quello che gli passava per la mente. Quando il suo studio ha riaperto, Sagmeister ha ricevuto una serie di proposte di lavoro in cui il grado di libertà per il designer era considerevolmente elevato. La prima di queste richieste è stata da parte di un magazine che gli ha commissionato 6 pagine da inserire prima di altrettante sezioni del giornale. Le regole d’ingaggio erano semplici: riempire queste sei pagine con quello che voleva. Non c’erano brief da fare o richieste particolari. Non c’era neanche nulla da vendere o da promuovere: aveva piena libertà. Sagmeister, entusiasta, ha accettato subito la proposta ma poco dopo si è reso conto che riempire una pagina senza avere una commissione, un’indicazione o dei limiti era una sfida ben più difficile rispetto a quanto avesse inizialmente pensato. Non era abituato a così tanta libertà in termini di tempo e di idee per un prodotto di graphic design e quello che lo tormentava era proprio decidere cosa dire adesso che c’era l’opportunità di poter dire qualsiasi cosa. Le settimane passavano e la ricerca di Sagmeister si stava trasformando in un tunnel senza fine. Si ritrovò così a riaprire il diario dell’anno precedente e a leggere una lista che aveva scritto, cioè l’elenco delle cose che aveva imparato fino a quel momento nella sua vita. Si trattava di una lista scritta di fretta ma onesta, come si usa fare nei propri diari per non mentire a se stessi, in cui ogni massima esprimeva con semplicità esattamente quello che voleva dire, senza cinismo o derisione. Scelse “ogni cosa che faccio ritorna sempre da me”, e decise di suddividere le parole sulle pagine commissionate e di rappresentarle in modo tipografico, evitando però una grafica scontata in modo da non precludere una più profonda partecipazione del lettore. Per esempio, ha optato per non costringere i caratteri in un cerchio che si chiude: sarebbe stato un riflesso troppo diretto del contenuto, una risposta preconfezionata che avrebbe interrotto il dialogo con il lettore ancora prima di aprirlo.