Nel corso della vita sono moltissime le condizioni che possono affliggerci. Alcune sono legate ad eventi esterni: la morte di una persona cara, delle difficoltà lavorative o economiche, una delusione d’amore. Altre sono causate dal nostro stesso modo di agire: una dipendenza, l’incapacità di gestire la rabbia, una insicurezza che ci attanaglia. Il comune denominatore di tutte le sofferenze, sia che possiamo fare qualcosa per eliminarla sia che dobbiamo arrenderci ad affrontarla, è di portarci a reazioni dissociate dal nostro vero modo di essere.
D’altra parte siamo stati formati da molteplici eventi ed esperienze che vanno dall’educazione familiare a quella scolastica, l’ambiente sociale e culturale nel quale siamo cresciuti, gli eventi cui abbiamo assistito e i traumi a cui abbiamo dovuto fare fronte. Ed ogni volta in cui i nostri bisogni affettivi non sono stati ascoltati, abbiamo trovato il modo di sopravvivere creando dei comportamenti funzionali ad evitare la sofferenza. Il nostro cervello, cioè, si è plasmato in modo da rispondere efficientemente agli eventi e ha imparato a mettere in atto meccanismi difensivi. Questo fa sì che al ripresentarsi di una situazione che ricorda alla nostra mente un certo evento, ci attiviamo nello stesso identico modo e mettiamo in atto gli stessi meccanismi di difesa. In altri casi questi meccanismi possono essere così radicati da sembrarci parte di noi. Ci identifichiamo con essi.
Possiamo iniziare a mangiare compulsivamente, possiamo urlare, possiamo congelarci emotivamente, negare, evitare. Ogni comportamento che mettiamo in atto in risposta ai dolori della vita senza esserne consapevoli non fa che allontanarci dalla libertà e prolungare la sofferenza, impedendoci di vivere una vita piena e felice. Le reazioni automatiche ed i meccanismi di difesa con i quali arriviamo a identificarci ci impediscono anche di vivere relazioni piene ed appaganti e di gioire delle esperienze della vita. In altre parole, tentando di sfuggire al dolore, ci priviamo di quegli aspetti che possono davvero guarirci e portarci gioia. Unici antidoti a queste reazioni automatiche sono il contatto con noi stessi e la presenza. L’autrice chiama l’identificazione con i nostri meccanismi di difesa il “piccolo sé” e la capacità di riconnettersi a sé stessi il “vero rifugio”.