Le maggiori iniziative di cui sentiamo parlare per la creazione di un mondo migliore e più equo sono tutte private o provenienti dal settore del business. Accendiamo la televisione e sentiamo che un’azienda offre borse di studio, alla radio una multinazionale pubblicizza il proprio impegno a favore della conservazione ambientale. È più facile che dovendo fare il nome di un benefattore pensiamo a George Soros piuttosto che ad una legge promulgata da un politico.
Questi filantropi dalle ricchezze stratosferiche potranno pur essere animati da sinceri sentimenti altruisti in certi casi. Alcuni potranno desiderare un mondo migliore e magari saranno anche più preparati per crearlo rispetto a certi governi. Eppure, tutte le iniziative private hanno in comune delle caratteristiche che le rendono inadeguate a risolvere i problemi della società. La prima è quella che non possono voler modificare alla radice un sistema che ha permesso loro di arrivare dove sono e di restarvi. Le grandi entità private, inoltre, non sono democratiche: nessuno elegge i CEO aziendali né li può mandare a casa se invece di fare qualcosa di buono creano un disastro sociale. Se tutto questo non bastasse a preoccuparci, si potrebbe aggiungere che il settore privato non si accontenta di sostituirsi al pubblico ma lo influenza pesantemente attraverso enormi immissioni di denaro. Tali e tante sono le donazioni, i programmi benefici, le contribuzioni a fondo perduto, i supporti a vario titolo che le grandi società forniscono al settore pubblico, da renderle influenti sulla politica e sulle decisioni che i governi prendono.
In sintesi, le soluzioni che i soggetti privati propongono, non offrono mai una risposta al problema delle disuguaglianze né agiscono sulle cause alla loro origine perché queste stesse disuguaglianze sono quelle che permettono loro di mantenere il proprio potere. Al tempo stesso le élite creano un debito di riconoscenza nei propri confronti che possono poi far pesare all’interno di determinate decisioni strategiche che le riguardano. Chi potrebbe biasimare un grande filantropo per l’apertura di un ospedale privato per i bambini affetti da una malattia rara? Nessuno. Ma siamo sicuri che al momento di indirizzare la spesa pubblica verso la sanità lo stesso filantropo non abbia voce in capitolo?