Personal branding significa, brevemente, parlare della propria attività professionale.
Cosa c’è di così difficile nel fare questo? La sottile differenza sta nel modo in cui ognuno di noi lo fa, è tra le righe di quello che scriviamo. È il modo in cui rendiamo la nostra immagine un brand agli occhi di chi ci osserva. Si tratta di come divulghiamo chi siamo, cosa facciamo e, soprattutto, a chi ci rivolgiamo.
Parlare di tutto ciò non significa fare auto promozione con slogan costruiti o frasi d’effetto, come forse ci insegna il marketing di una volta. Quella è una modalità che appartiene alla pubblicità vintage, quella che dominava quando si lavorava esclusivamente sulla carta, prima che il mercato traslocasse in una nuova dimensione: l’online.
Un cambio di corsia che è stato certamente accelerato dalla pandemia ma che, senza dubbio, aveva già un destino tracciato in seguito all’avvento dei social network.
L’arte del personal branding è definita tale perché si trova a metà strada tra la lista delle nuove skills da apprendere per sopravvivere nel mondo digitale e l'attitudine personale di ciascun imprenditore che vorrebbe enunciare i propri pregi diventando l’ennesimo “leader di settore”.
Oggi le distanze sul mercato sono accorciate, quasi azzerate, dalla velocità della rete.
Vendere equivale a entrare in una vasca in cui non si è soli: il numero dei competitor è esponenziale. Perché le persone dovrebbero scegliere proprio te? «Non dirgli che sei migliore degli altri, raccontagli che sei diverso» è il miglior consiglio per chi vuole smettere di convincere le persone ma intende lasciare loro il compito di decidere se donare la propria fiducia.