Da quando esiste l’uomo, esiste il dolore che segue alla morte di una persona cara.
Nel ventesimo secolo psichiatri come Sigmund Freud ed Elisabeth Kübler-Ross hanno studiato il lutto, descrivendolo da una prospettiva obiettiva sulla base di molteplici interviste a persone, tra le quali hanno notato modelli e somiglianze significative. Nella letteratura scientifica si è quindi scritto molto sul "cosa" del dolore: come ci si sente, quali problemi provoca, persino quali sono le reazioni corporee. Ma al di là del “cosa”, perché il lutto fa così male? Perché la morte, l'assenza permanente di una persona a cui siamo legati, provoca sentimenti così devastanti?
Parte della risposta può essere trovata analizzando il cervello, sede dei nostri pensieri, sentimenti, motivazioni e comportamenti. Studiare il lutto dal punto di vista del cervello – attraverso la lente della neurobiologia – può aiutarci ad averne una visione più completa. Comprendendo come i circuiti cerebrali, i neurotrasmettitori, i comportamenti e le emozioni sono coinvolti durante il lutto, abbiamo l'opportunità di entrare in empatia in un modo nuovo con chi sta affrontando un lutto, o con noi stessi durante il lutto.