Il dilemma dell’onnivoro - un libro in 3 minuti

“Siamo quello che mangiamo” diceva il filosofo Ludwig Feuerbach nell’800. Quelle parole non sono mai state vere come oggi.

Visto il suo enorme successo, nell’articolo di oggi troviamo un riassunto de “Il dilemma dell’onnivoro, libro proveniente dagli Stati Uniti e tradotto in diverse lingue.

Come prenderci maggiormente cura del nostro corpo attraverso l’alimentazione? Come essere più consapevoli della provenienza del cibo che mangiamo? Come adottare comportamenti alimentari che contribuiscano a ridurre l’inquinamento ambientale?



Queste sono alcune delle domande principali a cui Michael Pollan, professore dell’Università di Berkeley e giornalista del New York Times, cerca di rispondere in uno dei suoi più grandi successi come autore. Pollan è una delle voci più ascoltate (e meno ortodosse) nel dibattito globale sull’alimentazione ed è autore di una pluralità di bestseller sul tema.

Per elaborare una buona recensione de “Il dilemma dell’onnivoro”, anzitutto è bene capire a cosa il giornalista americano si riferisce con il suo titolo.

Agli albori, a causa della mancanza di conoscenza, la specie umana doveva affrontare il dilemma di cosa mangiare. Oggi il sistema alimentare è diventato talmente complesso che questo dilemma è tornato in auge. L’enorme numero di opzioni che abbiamo a disposizione quando si tratta di scegliere di cosa nutrirci, rappresenta il dilemma dell’onnivoro.

Attualmente la maggior parte del cibo viene prodotto dall’industria alimentare. Questa enorme macchina produttrice riesce a mantenere i prezzi molto bassi, ma il costo in termini di etica, danno ambientale e salute pubblica, è a dir poco devastante. Essa è infatti una delle maggiori responsabili dell’inquinamento, nonché della diffusione di alcune malattie.

In qualche maniera tutto parte dal mais, la più importante coltivazione degli Stati Uniti, largamente incentivata dal governo su pressioni delle lobby. Per smaltire l’enorme sovrapproduzione, una miriade di derivati del mais (oltre al mais stesso) vengono introdotti negli alimenti che consumiamo quotidianamente e quindi il cereale va a sostenere i deleteri meccanismi industriali.

Negli U.S.A. oltre un quarto dei prodotti presenti in un supermercato deriva dal mais. Esso è contenuto nella birra, nella soda, nella panna da caffè, nel formaggio spalmabile, nelle pietanze pronte da scaldare nel forno a microonde, nei preparati per torte, nei condimenti, negli hot-dog e nella cera con cui viene rivestita la frutta. Le crocchette di pollo dipendono interamente dal mais: l’amido modificato di mais le “tiene insieme”, l’acido citrico derivato dal mais le mantiene fresche a lungo e la lecitina conferisce il caratteristico color oro o giallo acceso. E questi sono solo alcuni degli innumerevoli esempi possibili.

Ma la vera svolta negativa è connessa al fatto che il cereale, vista la sua sovrabbondanza, è arrivato a costituire la base dell’alimentazione di tutto il bestiame che consumiamo. Il mais viene utilizzato per nutrire in serie miliardi di bestie tenute prigioniere negli allevamenti intensivi e trattate in maniera disumana. La maggior parte di questi animali dovrebbe mangiare semplice erba, ma per smaltire in qualche modo il mais, lo si da a loro. Per far sì però che possano ingurgitarlo senza problemi (visto che è per loro un cibo innaturale) vengono riempiti di antibiotici, che finiscono poi nel nostro corpo quando quel bestiame lo consumiamo.

Infine, tutta la filiera industriale (sostenuta in gran parte dal mais) si mantiene in moto a livello energetico grazie a smisurate quantità di combustibili fossili, principali responsabili dell’inquinamento odierno.

Il cibo biologico offre delle risposte, ma è ancora lontano dall’essere perfetto. Esso, infatti, talvolta può comunque contenere degli elementi non salutari e contribuire in maniera negativa all’ecosistema, nonostante rispetti tutti i requisiti di produzione “pulita” senza pesticidi o antibiotici.

La migliore soluzione è tornare a incentivare i piccoli produttori, abbinando la pratica di acquistare prodotti freschi a livello locale a politiche di agricoltura rigenerativa e allevamento sostenibile.

Fallire in questo proposito, vuol dire mettere in serio pericolo la salute nostra e del nostro Pianeta, che in ultima analisi rappresenta la nostra casa.

 


“Chiediamo eccessivamente la salvezza alle autorità. Tutto quello che dobbiamo fare è responsabilizzare le persone con la giusta filosofia e le giuste informazioni per permettergli di cambiare in massa.” Dice a Pollan durante un’intervista Joel Salatin, imprenditore agricolo che si occupa di coltivazioni e allevamento sostenibile nello stato della Virginia.

Il cambiamento è responsabilità di ognuno di noi.

Ciò che hai letto fin ora è soltanto un piccolissimo assaggio di ciò che il libro intende comunicare. Per permetterti di scendere più in profondità senza impiegare ore, noi di 4books abbiamo letto il testo per te e lo abbiamo condensato in un’analisi di circa 20 minuti,di modo che tu possa farti un’idea approfondita dei contenuti che troverai nel libro originale.

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