Lavoro e Denaro

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Il mito del multitasking sta cambiando faccia

Perché ciò che credevamo essere un superpotere si sta rivelando un freno alla nostra produttività e al nostro benessere

Per anni siamo stati convinti che il multitasking fosse una sorta di abilità superiore, un marchio distintivo delle persone più efficienti e capaci. Era l’immagine ideale del professionista moderno: qualcuno in grado di mandare avanti più progetti contemporaneamente, rispondere alle email mentre compila un report, partecipare a una riunione seguendo allo stesso tempo una chat interna. Il multitasking è diventato così radicato nella nostra cultura da essere percepito come una condizione quasi inevitabile, un modo necessario per tenere il passo con il mondo di oggi.

Ma negli ultimi anni qualcosa ha iniziato a incrinarsi. Neuroscienze, psicologia e studi empirici hanno mostrato un quadro completamente diverso: il multitasking non solo non ci rende più produttivi, ma riduce drasticamente la qualità del nostro lavoro e aumenta il nostro livello di stress. Il mito, oggi, non è semplicemente crollato. Sta cambiando forma. Si sta trasformando in un fenomeno più subdolo: una frammentazione continua in micro-interruzioni che ci impediscono di concentrarci davvero.

L’obiettivo di questo articolo è esplorare come il multitasking si sia evoluto, perché continuiamo a subirlo e quali alternative concrete possiamo adottare per recuperare una qualità di attenzione più umana, più sana e più efficace. Se ti capita spesso di arrivare a fine giornata con la sensazione di aver fatto tantissime cose ma nessuna in profondità, potresti scoprire che questo mito ti riguarda più di quanto immagini.



Come il multitasking è diventato un modello culturale

Il multitasking non è nato in un ufficio. È nato nei computer, negli anni Ottanta e Novanta, quando le macchine hanno iniziato a gestire più processi in parallelo. L’errore è stato semplice: abbiamo pensato che, se i computer potevano farlo, anche noi avremmo dovuto riuscirci. L’idea è stata amplificata dalla cultura del lavoro sempre più competitiva, dove la velocità è diventata sinonimo di successo. Fare di più sembrava l’unica risposta possibile.

Negli ultimi vent’anni, questa pressione si è intensificata. Le aziende hanno iniziato a celebrare chi “reggeva il ritmo”, chi rispondeva alle email nel giro di pochi secondi, chi mostrava un’agenda piena come un trofeo. Il multitasking è diventato una sorta di status symbol. Ma dietro questa immagine scintillante si nascondeva una realtà molto meno affascinante. Lavorare su più fronti non ci rende più rapidi, ma solo più stanchi. Non ci rende più intelligenti, ma solo più distratti. E soprattutto ci allontana dalla capacità di pensare con profondità.

Molte persone non si rendono nemmeno conto di farlo. Il multitasking oggi si manifesta in forme più sottili: un tab che si apre, un messaggio che arriva, un pensiero che interrompe la concentrazione. Il problema non è solo il tempo che perdiamo, ma l’energia mentale che dissipiamo nel recuperare continuità. Notare con consapevolezza quando accade è il primo passo per invertire la rotta. Osservare quanto spesso cambiamo attività può essere illuminante.



Perché il multitasking non funziona davvero secondo neuroscienze e dati reali

La scienza è oggi molto chiara: il cervello umano non fa multitasking. Fa switching. Passa rapidamente da un compito all’altro, ma con un costo elevato. Ogni volta che cambiamo attività, il nostro sistema cognitivo impiega diversi secondi per ritrovare la piena concentrazione. Questo fenomeno, chiamato attenzione residua, comporta una perdita costante di efficacia.

Una delle sintesi 4books più illuminanti è Deep Work di Cal Newport. Newport dimostra che l’attenzione profonda è un’abilità rara e preziosa, continuamente messa in pericolo dal modo in cui lavoriamo oggi. Secondo le sue analisi, la qualità del lavoro complesso dipende dalla capacità di creare finestre di concentrazione ininterrotta. Tutto ciò che frammenta questa continuità riduce il nostro potenziale. Il multitasking, quindi, non solo è inefficace, ma limita l’accesso alle funzioni mentali più elevate.

Il cervello non può mantenere due processi cognitivi complessi contemporaneamente. Quando crediamo di farlo, stiamo alternando interruzioni rapidissime. Questa alternanza genera errori, rallenta l’esecuzione e aumenta la fatica mentale. Ciò che viviamo come efficienza è, in realtà, agitazione mascherata. La sensazione di produttività nasconde un declino concreto della qualità del pensiero.

Provare a dedicare anche solo venticinque minuti di lavoro continuo su un’unica attività può rivelare quanto velocità, precisione e soddisfazione personale migliorino quando smettiamo di interrompere la mente.



Il nuovo volto del multitasking: micro-tasking, falsa produttività e distrazioni travestite

Il multitasking di oggi non assomiglia più a quello di dieci anni fa. È molto più silenzioso e molto più pericoloso. Si presenta sotto forma di una lunga sequenza di micro-attività che si infiltrano tra i compiti principali. Apriamo una notifica, rispondiamo a una chat, controlliamo il calendario. Sono azioni minuscole, ma frammentano profondamente l’attenzione.

La falsa produttività è uno dei sintomi più diffusi. Facciamo tante piccole cose, spuntiamo attività, ma non concludiamo nulla di significativo. È come correre su un tapis roulant: ci muoviamo, ma non avanziamo. Questa dinamica è alimentata dal design stesso delle piattaforme digitali, costruite per tenerci reattivi.

Dal punto di vista emotivo, questa frammentazione genera ansia costante. Ogni micro-interruzione ci fa sentire indietro su qualcosa. È un ciclo che si autoalimenta: più interruzioni subiamo, più cambiamo attività velocemente, creando nuova dispersione. Uscirne richiede consapevolezza e disciplina dell’attenzione.

Fare un audit delle notifiche e dei canali digitali, eliminando anche solo poche fonti di interruzione, può ridurre drasticamente la frammentazione mentale.



Come superare il multitasking: strategie moderne per recuperare concentrazione e qualità

Uscire dal multitasking non significa rallentare o produrre meno. Significa produrre meglio. La chiave è costruire un ambiente che favorisca la continuità dell’attenzione. Tecniche come il time blocking e il batch working permettono di dedicare blocchi di tempo coerenti alla stessa categoria di attività. I rituali di inizio e fine giornata proteggono le ore più preziose.

In Atomic Habits di James Clear ci mostra che piccole abitudini trasformano grandi comportamenti. Applicando questo al multitasking, significa creare micro-rituali di monotasking. Iniziare la giornata con dieci minuti di lavoro focalizzato o disattivare tutte le notifiche prima di un compito importante possono generare miglioramenti significativi.

La concentrazione non è un dono. È una costruzione quotidiana. E come ogni costruzione richiede materiali, tempo e intenzionalità. Scegliere un rituale di focus e mantenerlo per una settimana può diventare un primo passo concreto verso il recupero della propria attenzione.



Il futuro non è multitasking ma attenzione consapevole

Il multitasking non è scomparso, ma si è trasformato. È diventato più sottile, più pervasivo e più invisibile. Abbiamo visto come sia nato, come la scienza l’abbia smontato e come oggi continui a manifestarsi sotto forma di micro-interruzioni. Ma abbiamo visto anche che esiste un’alternativa. La qualità del nostro pensiero dipende dalla nostra capacità di proteggere l’attenzione.

Se senti che è arrivato il momento di recuperare la tua concentrazione, questo è il momento giusto per iniziare.

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