Formazione e informazione inclusiva a sostegno della parità di genere e dell'inclusione

Scopriamo il diversity management e la formazione inclusiva: gli asset aziendali per prosperare nella modernità

Sviluppare una cultura della complementarietà in cui la diversità a qualsiasi livello (età, genere, identità, etnia, nazionalità, condizioni di salute) rappresenta un valore è oggi un asset imprescindibile per quelle organizzazioni che desiderano raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi. Avere al proprio interno un ambiente di lavoro inclusivo, infatti, facilita l’espressione del potenziale individuale di ogni membro del team, trasformandolo in una leva fondamentale per il successo dell’intera organizzazione.

Diverse ricerche, tra cui quelle condotte da Deloitte, Boston Consulting Group, Harvard Business Review e Forbes, dimostrano che le aziende più diversificate e inclusive sono anche più innovative e, di conseguenza, più redditizie. La diversità culturale, per esempio, è un asset fondamentale per trovare nuove soluzioni ai problemi o creare strategie sempre più competitive proprio perché permette di ampliare il bacino da cui le idee arrivano. Il pensiero divergente grazie al quale si giunge all'innovazione si basa sull’esplorazione e l’analisi di ogni soluzione possibile. Questo però è possibile solo quando il team non condivide la stessa visione del mondo: le cosiddette “echo chamber”, infatti, non sono in grado di produrre nuovi suoni. Inoltre, allenarsi per portare avanti una comunicazione rispettosa della diversità significa anche assumere in prima persona consapevolezza dei significati che vengono veicolati tutti i giorni, attraverso contenuti e immagini, sia nelle relazioni interne all'azienda che in quelle esterne con clienti e stakeholder. In un’epoca in cui il capitalismo premia le idee che generano una maggiore redditività, le imprese possono esercitare un cambiamento sociale enorme, trasformandosi in un grimaldello in grado di scardinare pregiudizi e ingiustizie. 

La creazione di un ambiente di lavoro e di una cultura organizzativa inclusivi è una sfida per le aziende. Nel libro The Broken Ladder, Keith Payne sottolinea come sia proprio il posto di lavoro il luogo in cui la maggior parte delle persone sperimenta direttamente e quotidianamente una specifica forma di disuguaglianza. Il rapporto che una persona ha con il proprio lavoro è relativo e dipende molto da come viene percepito da chi lo fa, anche attraverso il confronto con gli altri. Il sociologo Samuel Stouffer ha definito deprivazione relativa quel senso di insoddisfazione non legato a un contesto oggettivo ma a una valutazione soggettiva che si ha quando si confronta la propria situazione con quella che si ritiene dovrebbe essere, e la si giudica peggiore. Un esempio è il pay gap che, come altri tipi di politiche basate sulla disuguaglianza, rende più debole la cooperazione e il lavoro di squadra, mettendo così a rischio il benessere del singolo lavoratore e quello di tutta l’azienda. 

Politiche aziendali basate sulla gestione positiva della diversity e sulla parità di genere, invece, sono positive anche per l’azienda perché aiutano a creare una migliore brand reputation, oltre a permettere una maggiore acquisizione/conservazione dei talenti. Inoltre, agevolano l’accessibilità al credito e al mercato, e contribuiscono a creare un impatto sociale positivo.



L’informazione e il diversity management come chiave per un ambiente aziendale inclusivo

Inclusione e diversità sono diventati oggi dei temi chiave in ogni politica aziendale volta al miglioramento del proprio ambiente di lavoro. Il diversity management è una strategia che si basa proprio sulla necessità di far emergere il potenziale personale di ogni lavoratore in modo che input diversi possano concorrere alla realizzazione di un output comune. Alla base c’è un’analisi della composizione del personale di un’azienda e la costruzione di un ambiente di lavoro inclusivo in cui ognuno possa dare il meglio di sé. Il principio da cui nasce il diversity management è la diversità culturale. È stata proprio la necessità di affrontare la diversità in un’ottica manageriale a spronare le aziende statunitensi degli anni Novanta a implementare al loro interno questa tipologia di management. E la globalizzazione ha esteso questa necessità al resto del mondo. Da qui poi si sono create altre aree chiave del diversity management: la gender diversity, l’age management e il disability management per gestire, rispettivamente, le differenze di genere, di età e di disabilità. 

Un esempio di come gestire la differenza di genere in modo positivo ce lo dà Arin N. Reeves nel suo libro One Size Never Fits All. Nel riflettere su cosa rende difficile alle donne il raggiungimento di posizioni di potere all’interno di un’organizzazione, Reeves nota che i metodi usati dagli uomini per promuovere gli affari e lo sviluppo commerciale di un’azienda non si adattano facilmente alle donne. È come correre una maratona con una scarpa taglia unica invece di avere una scarpa del numero giusto. Alla fine arriva al traguardo solo chi ha avuto la fortuna che quella taglia unica fosse proprio del suo numero. Una ricerca ha evidenziato che il 70% degli uomini desidera mostrarsi più competitivo mentre il 75% delle donne si trova a proprio agio in un ambiente dove regna la cooperazione. Conoscere questa differenza è fondamentale perché permette a un’azienda di sfruttare al meglio le capacità dei singoli per raggiungere i propri obiettivi. Inoltre assicura ai propri collaboratori una buona dose di soddisfazione personale perché li lascia liberi di scegliere ognuno la calzatura che meglio si addice alla sfida che vogliono intraprendere.  



La formazione inclusiva è un asset di sviluppo fondamentale  

Per realizzare una politica aziendale inclusiva informarsi non è però sufficiente. Tra gli asset che un’azienda può mettere in campo in modo sinergico – governance, politiche organizzative, piani di carriera e di equità retributiva, tutela della genitorialità – la formazione inclusiva gioca un ruolo strategico. Una formazione dedicata allo sviluppo professionale e personale, infatti, è in grado di fornire quegli strumenti paritetici necessari per affrontare le continue sfide del mondo del lavoro, supportare il percorso di carriera dei singoli collaboratori – oltre ai relativi increase salariali –, intraprendere percorsi di management e leadership pensati proprio per creare una cultura organizzativa fondata sul benessere dei singoli e sul raggiungimento degli obiettivi aziendali preposti. 

La formazione inclusiva è anche un’importante occasione di empowerment personale perché permette di acquisire e rafforzare competenze che possono aiutare le persone a sviluppare una maggiore consapevolezza delle proprie capacità, rendendole meno propense ad accettare bias e disparità. Nel libro Girl, Stop Apologizing, Rachel Hollis evidenzia come il potenziale di molte persone, soprattutto donne ma non solo, rimanga inespresso proprio a causa di una bassa autostima. E questa, a sua volta, porta a una sorta di autosabotaggio basato sulla sensazione di “non essere abbastanza”. L’empowerment è lo strumento giusto per uscire da questo loop. 

Una formazione aziendale trasversale in grado di toccare i temi dell'inclusione e della parità su diversi piani permette di creare e supportare una cultura aziendale più aperta e innovativa.

Infine, la formazione inclusiva e continua nel tempo può essere molto utile per affrontare momenti specifici e delicati del proprio percorso lavorativo come può essere, per esempio, il rientro dopo una lunga assenza o da un congedo parentale. Questo è un momento delicato per ogni lavoratore ma rappresenta anche una grande opportunità di reskill in cui acquisire nuove competenze e visioni. She’s Back è un libro scritto a quattro mani da Lisa Unwin e Deb Khan per aiutare chi ha deciso di interrompere la propria carriera e ora vuole rientrare nel mondo del lavoro. Le due autrici si rivolgono soprattutto alle donne perché statisticamente sono loro a entrare e uscire dal mondo del lavoro più spesso rispetto agli uomini, e hanno anche bisogno di una maggiore flessibilità. Nel libro, tra gli altri suggerimenti, c’è anche quello di cambiare i propri modelli mentali attraverso una formazione inclusiva.



La formazione inclusiva è anche uno strumento ricorrente per ottenere la nuova certificazione di Gender Equality

La Gender Equality è uno dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile fissati dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030. La certificazione sulla parità di genere UNI/PDR 125 segue questa stessa direzione e definisce le linee guida per essere certificati come azienda virtuosa nella gestione della parità di genere. Si tratta di uno strumento premiale che prevede l’implementazione di KPI specifici in modo da poter valutare la parità di genere di un’azienda ed eventualmente colmare i gap esistenti. La certificazione è valida per tre anni – con due audit di sorveglianza a 12 e 24 mesi – e permette di avviare un percorso virtuoso di cambiamento culturale all’interno della propria organizzazione. I vantaggi sono molteplici. Oltre a rafforzare l’immagine aziendale, questa certificazione consente di ricevere sgravi fiscali, un punteggio premiale per la concessione di finanziamenti pubblici e un più alto punteggio nei bandi nazionali e internazionali.

Le attività connesse alla formazione aziendale sono inserite tra gli indicatori di misurazione per ottenere la certificazione. La norma individua sei Aree di indicatori. Di queste, tre sono le aree in cui anche la formazione gioca un ruolo chiave. Si tratta dell’Area cultura e strategia, l’Area Processi HR e l’Area Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. 

L’Area cultura e strategia è quella in cui si certifica che i principi e gli obiettivi di inclusione, parità di genere e attenzione alla gender diversity dell’organizzazione siano coerenti con la visione, le finalità e i valori che caratterizzano l’ambiente di lavoro. Gli indicatori attinenti a quest’area sono sette, tra cui quello che va misurare la realizzazione, nell’ultimo biennio, di interventi formativi a tutti i livelli gerarchici, compresi i vertici, per comprendere meglio cos’è la differenza di genere, qual è il suo valore, quali sono gli stereotipi e gli unconscious bias, e come superarli. 

L’Area processi HR misura il grado di maturità dei principali processi in ambito HR. Qui gli indicatori sono sei, tra cui quello che va a certificare la presenza di politiche in grado di garantire la partecipazione equa e paritaria a percorsi di formazione e di valorizzazione, con la presenza di entrambi i sessi, inclusi corsi sulla leadership.

L’Area tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro misura il grado di maturità di un’orazione in relazione alla presenza di politiche volte a sostenere la genitorialità sotto diversi aspetti. Gli indicatori che fanno riferimento a quest’area sono cinque, tra cui quello volto a misurare la presenza di policy per il mantenimento di benefits e iniziative che valorizzino l’esperienza della genitorialità come momento di acquisizione di nuove competenze a favore della persona e dell'organizzazione e che tutelino la relazione tra persona e azienda prima, durante e dopo la maternità/paternità. A questo proposito un esempio è proprio la formazione al rientro del congedo parentale per supportare il reinserimento della risorsa nell’ambiente di lavoro. 

Come si evince, quindi, la formazione continua sulle tematiche del diversity management, dell’inclusione e della parità di genere è un aspetto fondamentale che ogni azienda ha necessità di coltivare per poter crescere e realizzare i propri obiettivi. 



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