Problem solving: significato, metodologia ed esempi pratici

Affinare la nostra capacità di problem solving ci permette di emergere in un mondo di estrema volatilità e sempre aperto all’imprevisto

Il problem solving è la capacità di risolvere i problemi in modo efficace e tempestivo. Sebbene questa abilità possa sembrare una di quelle vaghe soft skills usate semplicemente per riempire il curriculum, essa è in realtà una competenza che ci permette di stare al passo con il rapido mondo in cui viviamo

Possiamo vederlo ogni giorno con i nostri occhi: la società cambia di continuo, le regole si modificano, i colpi di scena non ci danno tregua e le novità sono all’ordine del giorno. Sia dal punto di vista personale che lavorativo, ciò che la moderna realtà richiede è proprio questo: sapersi adattare a contesti nuovi e trovare soluzioni innovative alle sfide del progresso.

Nel mondo del business, conoscenza ed esperienza erano le caratteristiche che anni fa permettevano ad un’azienda di essere leader del proprio settore. Ora questi aspetti non sono più sufficienti a garantire un vantaggio sui competitor. Per sopravvivere, le aziende devono essere pronte a rispondere ai continui cambiamenti ed ostacoli. Per questo motivo, una persona con buone capacità di problem solving è una risorsa preziosa per il business aziendale.

Applicare il problem solving nell’attuale mondo del lavoro significa saper utilizzare flessibilità mentale per dare vita a nuove idee, fare connessioni efficaci e trovare soluzioni creative che permettano ad un'azienda di essere innovativa e guidare il mercato.

Il problem solving ha quindi un significato articolato che non si riduce al semplice intuito e nemmeno alla messa in pratica di esperienze passate ma è un processo strutturato che richiede capacità ben più profonde. Vediamo allora le 10 cose da sapere per diventare un eccellente problem solver, imparare a ragionare fuori dagli schemi e generare soluzioni vincenti.


1. Il primo passo non è l’ipotesi ma lo studio del problema

Quando ci troviamo di fronte ad un problema, la nostra reazione biologica è quella di trovare subito una soluzione in modo da poter agire il prima possibile. La nostra mente, infatti, risponde in maniera quasi automatica alle situazioni che riconosce familiari, cercando rapidamente di formulare l’ipotesi più convincente possibile in base alle informazioni a disposizione e alle nostre esperienze pregresse, senza dover ponderare ogni volta quale sia la soluzione migliore.

Questo tipo di processo ci avvantaggia nella risoluzione di problemi semplici che richiedono l’applicazione di soluzioni conosciute. L’equivoco però si presenta quando con la stessa impulsività cerchiamo di risolvere problemi ben più complessi. Purtroppo questa tendenza viene rinforzata anche nel mondo del lavoro, dove la prontezza delle risposte viene spesso esaltata a prescindere dalla loro qualità.

Il punto di partenza quindi è riconoscere quando stiamo istintivamente avanzando soluzioni in maniera affrettata, senza aver prima analizzato il problema. Problemi complessi richiedono innanzitutto uno studio delle loro cause e meccanismi di base, la ricerca di una soluzione avverrà solo in uno step successivo. 


2. Gli esperti non sempre sono la soluzione

Al contrario di quanto si possa pensare, la chiave della risoluzione dei problemi non risiede nell’esperienza. Gli esperti infatti sono spesso guidati dall’illusione della comprensione del problemache può indurli alla formulazione di soluzioni affrettate ed erronee. Questo è causato dalla velocità con cui la loro mente è in grado di riconoscere schemi noti e quindi aderirvi senza la necessità di studiare approfonditamente il quadro completo.

I problemi complessi non si possono risolvere solo con l’esperienza ma bisogna prima definirli e inquadrarli in un piano strutturato. All’interno di un processo di problem solving, il ruolo dell’esperto non è quindi quello di risolvere il problema, ma di dare un supporto per comprenderlo e per individuare le informazioni necessarie a delineare un progetto di risoluzione, la cui formulazione spetta al problem solver. 


3. Un buon problem solver è in grado di mettere in dubbio le proprie conoscenze

Chi sa di non sapere è più propenso all’analisi profonda di un problema perché la sua mente è aperta al dubbio e alla scoperta e riesce a vedere cose che un esperto non nota. Il mindset di un buon problem solver deve quindi essere impostato sull’umiltà intellettuale. Egli deve innanzitutto riconoscere i propri limiti ed essere in grado di mettere in dubbio anche ciò che già conosce.

Mettere in discussione ciò che viene dato per scontato è il modo migliore per assicurarsi di arrivare ad una conoscenza completa del problema. Questo concetto viene ben approfondito nel libro Think Again di Adam Grant, famoso psicologo e autore americano. Secondo Grant infatti, la capacità di cambiare idea e di “ripensare” potenzia l’abilità di trovare soluzioni nuove e funzionali. Ripensare significa infatti vedere le cose da punti di vista differenti, esplorare i problemi con curiosità ed essere aperti all’idea di dover imparare qualcosa di nuovo.



4. Serve un metodo. Sempre

Fin qui abbiamo capito che per risolvere problemi complessi non dobbiamo cercare di indovinare subito una soluzione e non dobbiamo nemmeno dipendere totalmente da figure esperte. Ciò che serve è strutturare un metodo.

Esistono vari metodi che ci possono guidare nella risoluzione di problemi attraverso la mappatura di processi logici. Alcune di queste tecniche sono ad esempio mostrate nel libro Cracked It di Olivier Sibony, Bernard Garrette e Corey Phelps. Qui gli autori ci parlano del metodo delle 4S, della tecnica della Piramide d’ipotesi, dell’albero logico e degli schemi prestabiliti. 

In generale, il processo di problem solving descritto nei diversi metodi può essere articolato nelle seguenti quattro fasi:

  1. Definire il problema
  2. Generare possibili soluzioni 
  3. Valutare le alternative e decidere quale scegliere
  4. Implementare la soluzione scelta e monitorare i risultati

La scelta di un metodo serve ad abbattere gli schemi di riferimento standard che possono rendere ciechi ad aspetti importanti del problema. L’approccio sistematico ci aiuta a fare pratica, a rimetterci in strada nel momento in cui deragliamo e ad arrivare alla soluzione migliore. Inoltre, nel lavoro in team, ci permette di comunicare meglio con i nostri colleghi, fornendo un linguaggio comune che favorisce la collaborazione.



5. Se non riusciamo a risolvere un problema, è perché ci stiamo concentrando sul problema sbagliato

L’errore più comune nella risoluzione di un problema si riduce alla scorretta comprensione dei suoi meccanismi e delle sue cause, ovvero ad una poca attenzione nella primissima fase del problem solving: la definizione del problema. Un problema complesso definito in maniera errata rischia di portarci sulla strada sbagliata, alla ricerca di una soluzione che non darà i risultati sperati. 

Esempi di definizioni errate, accompagnate da descrizioni più precise, possono essere le seguenti:

  • La pompa è rotta / La pressione dell’impianto è troppo bassa.
  • Gli impiegati non sono soddisfatti del lavoro / Le risorse umane e il team di lavoro non sono allineati sui requisiti della posizione.

Per definire un problema in maniera chiara e precisa bisogna innanzitutto fare domande. Dobbiamo sforzarci di mettere in discussione ciò che diamo per scontato anche se questo significa formulare domande che possono sembrare banali e ovvie. Così facendo, riusciremo ad osservare attentamente ciò che succede e a raccogliere tutte le informazioni necessarie per capire come e perché il problema si presenta. L’importante, in questo primo stadio, è aver chiaro che queste domande servono a capire il problema, non a trovare una soluzione.


6. Soluzioni innovative richiedono creatività e la creatività richiede tempo

Siamo ora alla seconda fase del processo di problem solving, ovvero la generazione di soluzioni. Una pratica molto comune in questo contesto è il brainstorming, un esercizio che serve a far fluire liberamente i pensieri su soluzioni creative adatte ai problemi individuati. Il processo di brainstorming implementa strategie che combinano il pensiero individuale con la condivisione in gruppo e deve essere libero da qualsiasi tipo di giudizio e valutazione. Lo scopo qui è semplicemente raccogliere il maggior numero possibile di idee. 

La creatività è l’ingrediente fondamentale per generare soluzioni innovative. Lo sanno bene Chris Griffiths e Melina Costi, esperti di innovazione ad autori del libro The creative thinking handbook, nel quale descrivono l’importanza della creatività all’interno di un processo di problem solving. Come spiegano i due autori, la creatività gioca un ruolo fondamentale nel mondo del business di oggi ed “Il successo non riguarda più ciò che conosciamo, ma ciò che possiamo creare.”

Ricordiamoci inoltre che la creatività necessita di tempo. Dobbiamo quindi assicurarci che venga dato il giusto spazio a questa fase creativa. Nella gestione quotidiana del lavoro bisogna programmare momenti ben definiti da dedicare a queste attività, che spesso viene trascurata.



7. Mai sottovalutare il potere della visualizzazione

Un metodo che facilita la generazione di idee e soluzioni è la mappa mentale, uno strumento visuale che serve a riportare la complessità dei pensieri emersi nel brainstorming e a creare collegamenti tra di essi. 

Come spiega Tom Wujec nel suo interessante TED Making Ideas Visible: The key to 21st Century Problem Solving, rendere le idee visibili è il fulcro della collaborazione creativa perché aiuta i team a costruire una comprensione condivisa del problema, esplorare le opzioni e creare scelte chiare e intelligenti. 

Predisporre uno spazio fisico per le idee permette di creare spazio mentale per elaborarle meglio. Le neuroscienze infatti affermano che rendere visibili le informazioni alleggerisce il costo cognitivo necessario alla loro elaborazione. Questo significa che la nostra mente è in grado di processare tra loro un maggior numero di idee quando queste sono visibili ai nostri occhi. Inoltre, l’atto stesso di scrivere, annotare e tracciare schemi su un supporto fisico, attiva molte più aree del nostro cervello rispetto ad una semplice discussione.


8. Se pensi che una tua decisione si basi su solidi fatti, sappi che non è mai così

Nella terza fase di problem solving dobbiamo valutare e scegliere quale tra le soluzioni emerse sia la migliore da portare avanti. Ciò di cui ora dobbiamo tener conto è chela maggior parte delle decisioni che prendiamo è fortemente influenzata da una moltitudine di bias cognitivi che condizionano il nostro comportamento

Come ci spiega Peter Bevelin nel libro Seeking Wisdom, i bias sono preconcetti e scorciatoie mentali che ci inducono a compiere errori di giudizio e ad elaborare gli eventi in modo fuorviante. Essi possono quindi influenzare il nostro modo di affrontare i problemi. Esempi di bias che entrano in gioco nel problem solving possono essere il bias della conferma, che ci spinge a vedere solo quello che ci aspettiamo di vedere, e il bias definito “fallacia del primo istinto“, che ci tiene ancorati alla convinzione che la nostra prima risposta sia quella giusta.

Poichè le nostre opinioni sono guidate da questi bias, esse rischiano di farci cadere in errori di valutazione e scelte inadeguate. Per questo motivo dobbiamo sforzarci di dubitare delle nostre opinioni e optare per un’osservazione basata su fatti e dati concreti.


 


9. Ricordati di imparare dall’esperienza passata

Dopo aver implementato la soluzione trovata ed essere passati alla pratica, potremmo pensare di essere arrivati alla fine del percorso. In realtà non è proprio così. Il problem solving infatti non è un processo lineare, bensì circolare. Questo significa che tramite il monitoraggio dei dati acquisiremo una maggior comprensione del problema che ci riporterà all’inizio del processo e quindi alla scelta di una strategia differente che dovremo di nuovo implementare e monitorare. Non per forza troveremo la soluzione perfetta al primo giro di giostra, anzi, probabilmente dovremo testarne molte. L’importante è aver costruito un processo metodico che ci dia la sicurezza di essere sulla strada giusta.

Infine, dobbiamo ricordarci che gli errori possono capitare e fanno parte del processo. Non dobbiamo mai demoralizzarci, fa tutto parte del gioco. Se ci accorgiamo di aver commesso un errore, dobbiamo essere pronti a rimettere in discussione le scelte fatte e formulare nuove soluzioni.


10. Un buon problem solver è destinato ad emergere

Il nostro mondo complesso e sempre aperto all’imprevisto penalizza chi resta indietro e non riesce ad evolversi con esso. Negli ultimi 30 anni possiamo trovare numerosi esempi di grandi colossi, si pensi ad esempio a Blockbuster e Blackberry, che non essendo riusciti ad affrontare i cambiamenti del mercato sono caduti vittime del progresso.

Nella realtà attuale, più un compito è limitato e ripetitivo, più è probabile che verrà automatizzato. Chi riuscirà ad emergere, saranno tutte quelle persone in grado di destreggiarsi nell’instabilità e trovare soluzioni originali in contesti imprevedibili. La forza degli esseri umani rispetto alle macchine sta proprio qui, nei problemi aperti del mondo reale, nell’intraprendere percorsi non lineari e nell’ entusiasmo della scoperta.