Empatia: significato, definizione e caratteristiche della soft skill per eccellenza

Scopriamo insieme quello che c’è da sapere sull’empatia e sulla sua importanza per avere delle relazioni umane realmente piene di significato

Rimanere indifferenti alla sofferenza e al dolore di chi ci circonda non ci rende forti, anzi: l’illusione di potersi proteggere dai colpi della vita e dai dolori delle esperienze che viviamo è tanto inutile quanto dannosa.

Per questo motivo è realmente fondamentale conoscere bene cos’è l’empatia e capire come fare per svilupparla al meglio e poterne fare tesoro per vivere una vita in cui le relazioni con le persone che ci circondano abbiano un vero significato e non siano solamente “di facciata” e vuote, senza un reale senso e un reale valore.

Approfondiamo insieme la conoscenza di una delle abilità (a volte innata, a volte no) che ci rendono allo stesso tempo più umani ma anche un po’ più “supereroi”. 


Cos’è l’empatia

L'empatia fra le persone è come l'acqua nel deserto: si incontra di rado, ma quando capita di trovarla ti calma e ti rigenera” – Emanuela Breda 

Prendiamo in prestito le parole di Vittorio Gallese (neuroscienziato cognitivo, uno degli scopritori dei neuroni specchio) per cercare di avere un’idea più generale su cosa sia l’empatia anche a livello scientifico: “a livello neurobiologico, la comprensione della mente e dei vissuti dell’altro è sostenuta da una particolare classe di neuroni, definiti neuroni specchio: partecipare come testimoni ad azioni, sensazioni ed emozioni di altri individui attiva le stesse aree cerebrali di norma coinvolte nello svolgimento in prima persona delle stesse azioni e nella percezione delle stesse sensazioni ed emozioni”.

La comprensione degli altri, la capacità di mettersi nei panni delle persone che ci circondano non è però solamente una capacità innata a livello umano, ma si tratta di un’abilità personale che si può anche allenare e rafforzare. Un testo importante che può aiutarci in questa fase è How Emotions Are Made, della psicologa e neuroscienziata Lisa Feldman Barrett.



A cosa serve l’empatia

Un cuore comprensivo è tutto, è un insegnante, e non può essere mai abbastanza stimato. Si guarda indietro apprezzando gli insegnanti brillanti, ma la gratitudine va a coloro che hanno toccato la nostra sensibilità umana. Il programma di studi è materia prima così tanto necessaria, ma il calore è l’elemento vitale per la pianta che cresce e per l’anima del bambino”. – Carl Gustav Jung 

La psicologa americana Norma Feshbach ha individuato le componenti dell’empatia, indicandole rispettivamente come la capacità che l’esercizio dell’empatia ci permette di possedere, come saper decodificare gli stati emotivi degli altri, poter rivestire il ruolo e la prospettiva dell’altro e rispondere sul piano emotivo e affettivo alle loro emozioni.

Le prime due capacità sono reali e oggettive abilità cognitive, mentre la terza è connessa direttamente alla sfera affettiva ed emotiva.

Grazie al riconoscimento del valore dell’empatia nella vita umana in Danimarca è diventata addirittura una vera e propria materia scolastica: lo scopo non è solo quello di migliorare il rapporto tra studenti e insegnanti, ma anche tra gli stessi alunni, cercando di evitare la diffusione e l’aumento di episodi di bullismo. 

In Danimarca, nel programma scolastico dei bambini di età compresa tra i 6 e i 16 anni, è prevista un’ora alla settimana di “lezione di empatia”, chiamata “Klassens tid“: si tratta di sessanta minuti durante i quali tutti i presenti si esercitano a mettersi nei panni dell’altro a vedere il mondo con gli stessi “occhiali” che indossano le persone che ci circondano.

Attraverso l’insegnamento diretto e sistematizzato dell’empatia i bambini danesi sono quindi più propensi a stabilire tra loro legami duraturi e sinceri, e vengono poste le basi per farli diventare adulti più felici e comprensivi, pronti e allenati a interagire in maniera rispettosa.

Durante quell’ora di lezione, ognuno parla di sé, delle proprie emozioni, delle proprie paure, di ciò che lo spaventa, imparando così a condividere parte della propria vita senza creare dei tabù inutili che servono solo a nascondere delle inutili vergogne. Durante le ore di empatia si lavora per insegnare ai bambini ad immaginare le conseguenze che i loro comportamenti avranno sugli altri. Grazie all’empatia, non solo si possono migliorare i rapporti interpersonali tra docenti, alunni e lavoratori del sistema scolastico, ma lo stesso sistema scolastico ed i metodi di insegnamento ne possono trarre giovamento: altri Paesi dovrebbero prendere esempio dalla Danimarca e inserire l’empatia nei propri programmi scolastici, investendo su un futuro migliore per tutti.


Empatia VS Intelligenza emotiva 

Comprendere gli esseri umani è intelligenza, comprendere se stessi è saggezza”. – Lao Tse 

Frequentemente l’empatia e l’intelligenza emotiva vengono messe sullo stesso piano e assimilate come se fossero la stessa cosa, ma non è propriamente così.

L’intelligenza emotiva, secondo Salovey e Mayer è la cosiddetta “capacità di monitorare le proprie e le altrui emozioni, di differenziarle e di usare tali informazioni per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni”; al suo interno possiamo ritrovare, insieme alla consapevolezza e alla padronanza di sé, anche motivazione, abilità nella gestione delle relazioni sociali e, ovviamente, l’empatia. Morgese definisce l’intelligenza emotiva come l’abilità di riconoscimento e comprensione delle emozioni sia in se stessi che negli altri e di utilizzo di tale consapevolezza nella gestione e nel miglioramento del proprio comportamento e delle relazioni con gli altri.

L’autore che resta più influente in tema di intelligenza emotiva è Daniel Goleman che, alla base dell’intelligenza emotiva, individua due tipi di competenze, quella personale (come controlliamo noi stessi) e quella sociale (il modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri). Quando non si sviluppa l’intelligenza emotiva si corre il rischio di diventare analfabeti emotivi (o analfabeti emozionali), diventando incapaci di riconoscere e controllare non solo le proprie emozioni, ma si arrivano ad avere serie difficoltà a riconoscere anche le emozioni altrui, il che rende incapaci di provare empatia e compassione. Alti livelli di intelligenza emotiva, invece consentono di essere empatici e potersi mettere nei panni degli altri.

Il nostro cervello infatti è biologicamente progettato per connettersi con i cervelli delle persone che ci circondano: come esseri umani siamo “cablati” per la socialità. A partire da questa scoperta, Goleman nel suo “Intelligenza emotiva” rivela l'impatto profondo delle relazioni su ogni aspetto della nostra vita. L’intelligenza sociale, basata sull’empatia, è la nostra capacità cognitiva di relazionarci con gli altri e di valutare accuratamente le situazioni sociali. Capire come funziona può aiutarci a creare società più felici, fondate su legami sociali forti e virtuosi. Lo psicologo Daniel Goleman in questo libro prende spunti da decine di studi diversi per raccontare come l’intelligenza emotiva possa aiutarci nelle relazioni coniugali e professionali, nella crescita dei figli e nello stare lontani dai più gravi disturbi mentali del mondo moderno.



Come sviluppare empatia

Se ciò che io dico risuona in te, è semplicemente perché siamo entrambi rami di uno stesso albero”. – William Butler Yeats 

“Si intende la capacità di immedesimarsi con gli stati d’animo e con i pensieri delle altre persone, sulla base della comprensione dei loro segnali emozionali, dell’assunzione della loro prospettiva soggettiva e della condivisione dei loro sentimenti”, (Bonino, 1994).

Per allenare la propria capacità di provare empatia e riuscire a dare il giusto valore alle emozioni degli altri è fondamentale partire dalla comprensione delle proprie emozioni: aumentare l’autoconsapevolezza è fondamentale, perché se si comprendono meglio i propri sentimenti, si sarà più in grado di comprendere quelli degli altri, senza minimizzarli.

Un altro modo per sviluppare empatia è cercare di interagire con vari tipi di persone, di tutte le età, di diverse etnie, con differenti orientamenti sessuali e di vari strati sociali, con differenti livelli di abilità fisica o di salute, così da ampliare il proprio giro di relazioni umane.

Chiedere agli altri di esprimere le proprie emozioni è fondamentale per comprenderli meglio: l’approccio diretto è spesso l’opzione migliore da scegliere, cercando somiglianze tra noi e gli altri, soprattutto con persone che non ci piacciono. Questo esercizio permette di trovare i punti di connessione per stabilire un legame, per cui è comunque fondamentale imparare ad ascoltare di più e parlare di meno, resistendo alla tentazione di terminare le frasi degli altri, senza dare consigli se non ci vengono richiesti, così da non imporre la nostra visione delle cose, ma rispettando quella degli altri e i loro sentimenti. Prendere a cuore gli altri, i loro problemi, le loro emozioni è un duro lavoro da fare con la massima sincerità: si tratta di sensazioni delicate, dove anche la più minima falsità viene identificata e può eliminare qualsiasi tipo di fiducia che gli altri provano nei nostri confronti.

Un buon allenamento per affinare la propria capacità di provare empatia per gli altri può essere sicuramente la lettura del libro “HCE La scienza delle interazioni umane”, di Borzacchiello e Mazzilli in cui si spiega la scienza che studia le interazioni umane. Costruito come un manuale con tanto di esercizi e schemi riassuntivi questo libro vuole essere una guida esaustiva al vasto tema delle interazioni umane: lo scopo del modello HCE è aiutare le persone a interagire in modo sempre più consapevole. Attraverso l’approfondimento delle cinque intelligenze (quella strategica, quella comportamentale, quella ambientale, quella linguistica e quella emotiva) e l’applicazione di un metodo scientifico di raccolta informazioni, è possibile gestire con successo negoziazioni o trattative, ma non solo: il modello HCE rimane un potente strumento per affinare la propria capacità comunicativa e migliorare le interazioni umane.



Le caratteristiche per riconoscere una persona empatica

Vedere con gli occhi di un altro, ascoltare con le orecchie di un altro e sentire con il cuore di un altro.” – Alfred Adler

Le persone che sanno entrare nei panni dell’altro presentano alcune caratteristiche particolari, dei veri e propri tratti distintivi che permettono di riconoscerle tra le altre: sono particolarmente intuitive, hanno una sensibilità particolarmente evidenziata e hanno un’ottima relazione con se stessi, trovandosi a loro agio anche in solitudine.

Queste persone dimostrano una grande connessione emotiva con gli altri, riescono a cogliere dettagli, anche minimi, che in genere passano inosservati alla maggior parte della gente e hanno una visione della realtà molto pratica e sensata, venendo riconosciute come molto perspicaci, riuscendo a capire quando qualcuno sta nascondendo qualcosa o sta mentendo.

Sono decisamente capaci di stabilire relazioni con le persone che le circondano; trasmettono e captano le emozioni in maniera intensa ma impercettibile: sono generose e sempre disponibili ad aiutare gli altri per rendere loro la vita più facile.

Sono persone che non si fanno problemi a esternare le proprie emozioni: piangono e ridono con grande facilità, ma soprattutto non si fanno problemi a comunicare come si sentono a chi le circonda.


Quando l’empatia può diventare pericolosa

A unire il cuore delle persone non è soltanto la sintonia dei sentimenti. I cuori delle persone vengono uniti ancora piú intimamente dalle ferite. Sofferenza con sofferenza. Fragilità con fragilità”. – Haruki Murakami

Alcune professioni espongono le persone a dei rischi emotivi molto più elevati rispetto ad altri mestieri: basti pensare a chi lavora negli ospedali (o in generale nel settore medico) e deve affrontare ogni giorno le emozioni negative di chi soffre e delle persone delle loro famiglie. L’evoluzione scientifica rischia di portare ad un approccio medico centrato esclusivamente sulla malattia: per quanto sia necessario recuperare una prospettiva più umanistica e individualizzata della malattia, ma soprattutto della persona portatrice di sofferenza, è importantissimo riuscire a evitare che le emozioni danneggino i lavoratori che si trovano esposti quotidianamente a dosi così massicce di dolore, malattia, morte e sofferenza.

I video del personale sanitario nel bel mezzo dell’emergenza Covid-19 hanno messo in luce proprio questa realtà, facendola diventare un tema di attualità, illuminando la realtà (troppo spesso dimenticata, in assenza di una pandemia globale, ma comunque presente e pressante) di chi lavora tutti i giorni per alleviare il dolore degli altri, esponendosi a livello umano oltre che professionale al rischio di un burnout da cui è difficile recuperarsi.

L’approccio ideale per le figure sanitarie dovrebbe quindi essere quello di un’empatia clinica, uno sforzo sul piano umano che preveda la capacità di distinguere il sé dall’altro così da non provare le sue stesse emozioni e sofferenze. 


Alcuni tipi di empatia

La vostra felicità è nel bene che farete, nella gioia che diffonderete, nel sorriso che farete fiorire, nelle lacrime che avrete asciugato”. – Raoul Follereau 

Esistono numerose e differenti tipologie di empatia; anche se ogni persona è diversa e prova emozioni, vive esperienze e si relaziona con gli altri in maniera diversa, possiamo riconoscere alcune tipologie di empatia che si possono riunire sotto un’unica etichetta: 

  • empatia positiva: quando si è capaci di condividere totalmente la gioia di un’altra persona perché si riesce a percepire la felicità che sta provando, gioendone per lei/lui;
  • empatia negativa: l’incapacità di condividere la gioia di un altro perché si viene sovrastati dal proprio vissuto e dalle proprie emozioni, andando così ad ostacolare l’attenzione verso l’altro, l’ascolto e la comprensione dell’altro;
  • empatia cognitiva: quando si riesce a percepire la prospettiva di un’altra persona, comprendendo il suo punto di vista dal punto di vista intellettivo, senza però tutte le implicazioni emotive coinvolte; 
  • empatia emozionale: la capacità di comprendere e sentire sulla propria pelle lo stato d’animo altrui, anche se appartenente a culture diverse dalla propria o con un vissuto perpendicolarmente opposto al proprio;
  • empatia comportamentale: quando si è capaci di comprendere i comportamenti di una cultura diversa e le loro cause scatenanti senza implicare alcun tipo di giudizio che “inquini” il proprio punto di vista;
  • empatia relazionale: la capacità di comprendere la mappa delle relazioni della persona con cui si entra in relazione e le sue valenze affettive nella sua cultura di appartenenza, diversa dalla nostra.


Libri sull'empatia

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