
La tua nuova identità
Riscopri te stesso e scolpisci una nuova identità per la tua nuova carriera
10min

Riscopri te stesso e scolpisci una nuova identità per la tua nuova carriera
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Il punto di partenza, nella mia esperienza, per riuscire a cambiare lavoro con successo... e ricordiamoci che a volte non ci rendiamo neanche conto di fare un lavoro che non fa per noi, che non ci piace, siamo semplicemente abituati. È un'abitudine lavorativa che abbiamo preso e non ci poniamo il problema e spesso, il paradosso, è che quando uno fa un lavoro in cui guadagna anche bene non cambia lavoro perché non vuole rinunciare a quell'importo economico. Ma dentro lo sai che è il lavoro peggiore per te, in assoluto! Allora, due domande che sono fondamentali per partire in questo ragionamento del cambio di lavoro. 1. La prima riguarda l'identità. 2. E la seconda riguarda la tempistica. Partiamo dalla prima: in quale categoria ci facciamo rientrare? Vi faccio un esempio. Quando ero più sbarbato, la categoria in cui io mi identifcavo era il dipendente. Non avrei mai detto “Io sono un imprenditore” ma “Io sono un ottimo collaboratore, io sono un avvocato perfetto per lavorare in uno studio legale” di altri, non mio. Quella era la mia categoria. In testa io avevo quel tipo di defnizione, quel tag. Ecco, mi taggavo in quel modo lì. L'identità è un grande casino, però, perché nel momento in cui io dico “Io sono un... imprenditore o un dipendente”, la tendenza del nostro cervello, della nostra attitudine, proprio come esseri umani, è ritornare nella nostra identità. La categoria determina l'identità. Una volta che ho la categoria sbagliata... sono fregato, perché cerco sempre di ritornare in quell'identità ed è il motivo per cui non ho iniziato a fare l'imprenditore da subito, a intraprendere da subito, perché la mia categoria era diversa e quindi sarei andato in contrasto con quella che era la mia identità. L'identità di uno che lavora per qualcun altro. E quella è solo una delle categorie, ma noi ci diamo mille etichette. Pensate quando parliamo con qualcuno e dici: “Ma io sono uno che di carattere è sempre in ritardo.” o “Sono un indeciso”. Allora immaginate di voler cambiare lavoro, magari anche qualcuno all'ascolto si defnisce così. Volete cambiare lavoro, però il vostro tag principale è: “Io sono un indeciso, non riesco mai a prendere una decisione.” come fai a cambiare lavoro se sei un indeciso? La tua identità ti risucchia sempre in quella totale indecisione. Oppure “Sono uno che aspetta, sono un procrastinatore.” è un problema, l'identità, se la giochi male. Se, invece, la giochi bene, ti dai le categorie e i tag giusti, a questo punto gioca a tuo vantaggio. Allora, per me primo esercizio da fare se uno vuole cambiare lavoro è “Quali sono i tag? Quali sono le categorie? Come ti defnisci?” Prova ad ascoltarti. Ecco, a me una cosa che è servita, negli anni, è stata proprio quella di fermarmi un secondo e provare ad ascoltarmi. Come mi defnivo? Ad esempio, un periodo ero intrippato del mondo legale e mi defnivo sempre “Io sono un avvocato, farò l'avvocato”. Il mestiere di avvocato era parte integrante della mia identità. Oppure, un periodo, quando ero un atleta, mi defnivo sempre come “Io sono un agonista”. Nella mia testa era “Io sono un agonista, nello sport. Uguale: qualunque mestiere farò da grande, se non è il giocatore di ping pong sarà qualcosa legato allo sport, perché io sono un agonista.” Quando ho iniziato a fermarmi e ragionare su questo tipo di classifcazione che facevo, così, istintivamente, perché ero abituato così... apro parentesi, queste etichette e queste categorie magari ce le siamo date, non so, vent'anni fa. Io “Sono un agonista” me lo sono detto a dieci anni perché ero un agonista, però quell'agonismo non vuol dire che tu devi fare solamente il giocatore di ping pong o l'atleta professionista, puoi essere un agonista nel lavoro, in un lavoro completamente diverso. Se fai una startup, se fai l'editore, se fai il cameraman... qualunque tipo di mestiere può portarti ad esprimere il tuo agonismo. Allora, questo è importante: quali sono le categorie, le etichette che ci diamo? Quando ci siamo dati questa etichetta? Ma è un'etichetta vera? Sì o no? Magari era vera un periodo ma poi non è più vera, allora perché dobbiamo continuare a camminare con queste “zavorre etichettose” e non proviamo a fare una bella lista e a vedere quali sono quelle adatte e quelle no. Le etichette sono veramente tremende, sono bastarde, perché alla fne dei conti ti condizionano. Un altro aspetto importante è che, ovviamente, le categorie cambiano se tu sei da solo, se hai 15 anni, se hai cinque fgli, se sei divorziato. Le etichette cambiano in continuazione ed è giusto che cambino in continuazione perché cambiamo noi, proprio, come contesto e come nostra situazione. Allora sul lavoro è diverso se io ho un'etichetta tipo “Sono un padre di famiglia” che, a quel punto, determina una situazione protettiva, difensiva. È molto più diffcile cambiar lavoro rispetto a dire “Io sono un esploratore del mondo”. Un esploratore del mondo prende il bagaglio e si va. “Sono un padre di famiglia”, invece, chiaramente è una categoria diversa. Non c'è un'etichetta giusta e una sbagliata, ma ogni etichetta determina un continuo ritorno dei nostri comportamenti e delle nostre azioni per rispettare quell'identità. Per un periodo io non volevo non fare l'avvocato, anche se odiavo quel tipo di mestiere, non mi piaceva, non faceva parte di me, non era nel mio carattere, era tutto il peggio. Per me, per il mio carattere, non perché fare l'avvocato sia il male ma per il mio carattere non andava bene. Però io ero un padre di famiglia e un padre di famiglia non cambia mestiere così al volo. Non ha il colpo di testa e cambia mestiere: devi proteggere la famiglia, devi proteggere i fgli, devi portare il pane a casa. Che sono concetti giustissimi ma lo puoi fare in mille modi, non è che lo devi per forza fare facendo quel mestiere lì. Il problema, in quel caso lì, qual era? Era un bias di continuità. Avete presente quando fate un progetto, una presentazione, oppure costruite un Lego? Arriva uno e lo distrugge. Per voi, a prescindere dalla qualità di quel lavoro, anche se quel progetto fa schifo, anche se i Lego sono quattro mattoncini montati come li monto io, tristissimi, per voi è un grande problema. Perché? Perché l'hai fatto tu. Quando hai fatto tu qualcosa rimani molto più attaccato, è il cosiddetto “effetto IKEA”. Se la scrivania o la mensola te la costruisci tu, ci sei molto più attaccato. Anche se l'hai costruita di schifo, ci resti molto più attaccato. Allora dobbiamo, continuamente – se vogliamo pensare a come cambiare lavoro – smontare, analizzare le nostre etichette e le nostre categorie, perché defniscono la nostra identità e le nostre azioni. Un secondo aspetto importante legato all'identità è che ci sono identità che cambiano da un giorno all'altro, da un secondo all'altro, e identità in cui ci siamo cablati per cambiare passin passetto. E in ogni stadio della nostra vita possiamo essere persone che cambiano iper rapidamente o persone che magari ci mettono di più a cambiare. Anche da questo punto di vista nella mia esperienza non è un problema, basta saperlo. Per riuscire a cambiare mi conviene di più avere una politica dei piccoli passi e ci metto più tempo ma poi riesco a cambiare, oppure ho bisogno di un cambio netto? Personalmente ho avuto situazioni in cui ho cambiato da un giorno all'altro e situazioni in cui ho pianifcato la mia fuga nel tempo. Perché? Perché consideravo tutti gli aspetti e sapevo che volevo cambiare, però richiedeva tempo. Se vuoi cambiare davvero lavoro, fermati un secondo, mettiti nel buio della tua cameretta (magari con una luce, che è più facile scrivere con una luce) e prova a fare questo esercizio, a me è servito: fai una lista di tutti i tag che ti appiccichi addosso, di tutte le etichette, di tutte le categorie in cui – dal tuo punto di vista - rientri in questo momento e prova a valutare se è più facile, per un cambiamento, provare a seguire una strada immediata, brusca, perché è quella che ti serve, sennò non c'è un'altra via d'uscita, oppure una strada a piccoli passi. Entrambe vanno bene, però dove sei più fducioso? Dove sei più a tuo agio? In questo modo cosa stiamo facendo? Stiamo mettendo le basi per il possibile cambiamento. Siamo in grado di non avere quell'angoscia e quella barriera così forte che il cambiamento, inevitabilmente, ci attiva. Quando uno pensa a voler cambiare mestiere, vi faccio un esempio: io ho fatto la laurea in giurisprudenza, ho studiato non so, cinque o sei anni, non ricordo in quanti anni mi sono laureato. Ho fatto un anno e mezzo di praticantato, abilitazione al patrocinio, tutti i miei amici erano avvocati, legali, studi, le aspettative dei genitori... e poi cambi. “Eh, no! Tu torni indietro – questo è il ritorno all'identità e anche la pressione sociale – e mi dimostri che tu sei in grado di essere una persona affdabile e responsabile. Hai speso tutti questi anni, hai investito questo tempo, soldi, risorse, per costruire questa competenza e questa carriera e cosa fa? Adesso cambi perché non ti va più? Questo non va bene” e allora capite che ci sono una serie di barriere e di pressioni non facili da smontare? Il cambiamento non è banale, non è semplice, non è immediato. Però la base di partenza è “Qual è la tua identità?” dalla tua identità già inizi a seminare bene per capire quali sono le leve da muovere per riuscire a cambiare e per riuscire poi a cambiare un lavoro.