
Aristotele - il filosofo scienziato
La ricerca del sapere secondo Aristotele: dagli studi all’Accademia, alla disputa con Platone, fino a diventare maestro di retorica
13min

La ricerca del sapere secondo Aristotele: dagli studi all’Accademia, alla disputa con Platone, fino a diventare maestro di retorica
13min
Episodi di Storie di filosofia greca
Roma, primo decennio del 1500. Un uomo di appena 25 anni, dall’aspetto giovane, il volto ovale, la pelle liscia, l’espressione seria e i capelli lunghi si aggira indaffarato tra le Stanze della Segnatura, nel palazzo papale di Città del Vaticano. Proprio il papa, Giulio II, gli ha affidato la decorazione di quelle stanze e il giovane artista, Raffaello Sanzio, si appresta a portare a termine una delle sue opere più imponenti e luminose.
Avvicinandosi silenziosamente si possono scorgere i protagonisti della sua opera, La scuola di Atene, prendere posto al centro della scena affrescata, come gli attori al centro del palco di un grande e maestoso teatro.
L’Accademia è gremita di persone. Saggi e filosofi di ogni genere e luogo sono immersi nei propri pensieri e tesi, ognuno impegnato a dimostrare la verità di ciò in cui crede.
Euclide sulla destra è impegnato in una dimostrazione di matematica, Eraclito, seduto sulle scale, è assorto nei suoi pensieri. Anche Diogene è sdraiato sui gradini sulla destra, mentre Socrate, sulla sinistra, è attorniato da altri saggi e conversa con loro nella sua veste verde scura.
Ma è al centro della scena, dove la luce si propaga attraverso le alte arcate splendenti, che sta avvenendo la discussione più importante, quella che cambierà il destino della filosofia.
Platone e Aristotele, nelle loro ampie e colorate vesti, discutono pacificamente, ma con fermezza, fra di loro, non curanti delle altre figure che si affollano tutto intorno. “Nessuno dei poeti di quaggiù cantò né canterà mai degnamente la regione sovraceleste. È così perché bisogna avere il coraggio di dire la verità, specialmente quando si parla di verità. Infatti, la realtà vera, che non ha colore né forma e non si può toccare, che può essere contemplata soltanto dal nocchiero dell'anima, cioè l’intelletto, e su cui verte la vera scienza, occupa questa regione”.
Platone, con i suoi lunghi capelli grigi, il volto invecchiato, in mano il Timeo, indica verso il cielo. È lì, cerca di spiegare ad uno scettico Aristotele, che si trova la verità, il bene, lì c’è la fonte del sapere.
Aristotele, però, non è d’accordo. “Ora, tra i processi che riguardano il pensiero e con i quali cogliamo la verità, alcuni risultano sempre veraci, altri invece possono accogliere l'errore; tra questi ultimi sono, ad esempio, l'opinione e il ragionamento, mentre i possessi sempre veraci sono la scienza e l'intuizione, e non sussiste alcun altro genere di conoscenza superiore alla scienza, all'infuori dell’intuizione”.
Aristotele, avvolto nella sua veste verde e azzurra, più giovane del suo maestro, punta il palmo della sua mano destra verso il basso, verso la terra. Per lui è nell’esperienza diretta, nei sensi dell’uomo, nel mondo del qui e dell’ora che va cercata la conoscenza e la verità.
Lo spettatore, che si trova davanti la disputa dei due sapienti filosofi greci, resta sicuramente abbagliato da ciò che vede e che sente. Sembra quasi di vederli camminare verso di sé Platone e Aristotele, ritti e assorti nella loro discussione e con grazia vederseli passare di fianco continuando a conversare assorti, senza minimamente accorgersi di chi li guarda stupefatto e in cerca di risposte.
Platone, l’idealista, punta la mano e il dito verso il cielo perché è fermamente convinto che è lì, oltre le sfere celesti, in uno spazio metafisico che lui chiama Iperuranio, che si trova il mondo delle idee. Proprio qui, tenta di spiegare Platone al suo discepolo, ci sono le realtà assolute che l’uomo cerca di raggiungere durante la sua vita. In pratica, secondo lui, il mondo che percepiamo con i nostri sensi, altro non è che un’immagine, in greco idea, una copia imperfetta della realtà, che si trova nel mondo delle idee, l’Iperuranio appunto. È a questo mondo che l’anima dell’uomo tende, in cerca della verità e del sapere. Aristotele, molto più realista e pragmatico, invece, vuole tentare di far ragionare il suo maestro, presso la cui scuola ad Atene, ha studiato per 20 lunghi anni.
Punta il palmo della mano verso il basso, per indicare la terra, l’unico luogo dove è possibile cercare la verità e il sapere. Per lui ciò che davvero conta è ciò che può essere visto, sentito e toccato; ciò di cui possiamo fare esperienza diretta. Tutto questo si trova sulla terra, nel mondo conosciuto e in cui viviamo. È di questa realtà che lui cerca e indaga ogni aspetto. Infatti, secondo lui, è attraverso l’osservazione, l’esperienza e la sperimentazione che si può ottenere la conoscenza. In pratica, mentre per Platone il filosofo è un educatore e un politico che ha il compito di indicare come dovrebbe essere un mondo ideale e perfetto per Aristotele il filosofo è uno scienziato, il cui scopo è quello di spiegare la realtà non per come dovrebbe essere ma così come è, in tutte le sue sfaccettature.
Per questo motivo Aristotele fu il primo filosofo scienziato e riuscì, con la sua attività di studio, a porre le basi per il lavoro della scienza moderna. Le sue ricerche spaziavano in tantissimi campi del sapere e delle scienze naturali. In alcuni di questi campi fu un vero e proprio pioniere. Dalla metafisica, alla biologia, passando per la fisica, la psicologia, la logica, l’etica, la politica e la retorica, grazie ai suoi studi fu il primo a creare quella che oggi tutti conosciamo con il nome di enciclopedia.
Quando il giovane Aristotele venne mandato a studiare presso l’Accademia del suo maestro Platone, aveva soli 17 anni. Quando ne uscì, ne aveva 37. Vent’anni erano passati e durante quel lungo tempo il ragazzo era cresciuto ed era diventato uomo. Si era confrontato con le menti più grandi del suo tempo, compreso il suo maestro che ammirava molto, ricambiato, ma con cui, si è visto, spesso si era trovato a discutere in disaccordo.
Quando l’anziano e ottantenne Platone morì, Aristotele lasciò quel luogo di studio, dove la sua mente e il suo spirito erano cresciuti, e iniziò una nuova fase della sua vita. Viaggiò per il mondo, conoscendo tanti luoghi e insegnando in altrettanti e fu in uno di questi, nel Regno di Macedonia, che Aristotele divenne precettore di uno dei più grandi e noti condottieri e sovrani che la storia abbia mai conosciuto: Alessandro Magno. Dopo aver accumulato ulteriori esperienze e sapere, tornò ad Atene e qui, a 50 anni, fondò una sua propria scuola, il Liceo, dove continuò, instancabile, le sue ricerche enciclopediche.
Ciò che gli importava era tentare di capire tutto ciò di cui poteva fare esperienza nel mondo reale. Per farlo non si dedicava ad un solo campo del sapere ma a tutti quelli che poteva, come si è visto poco fa. Fra questi, si interessò molto anche della politica, dell’etica e della retorica. Proprio riguardo quest’ultima, fu lui a studiare e sviluppare molte strategie retoriche usate ancora oggi all’interno del public speaking e, più nello specifico, nei dibattiti politici per mobilitare le masse di sostenitori, in particolare dai populisti.
In alcune sue opere, tra cui il De Sophisticis Elenchis, in italiano Confutazioni sofistiche, Aristotele parla bene di questo, introducendo e spiegando il concetto di sofisma. Inizialmente, per sofista si intendeva chiunque possedesse la sapienza e fosse in grado di comunicarla, tant'è che anche Omero, Esiodo e Pitagora vennero chiamati sofisti. Solo dal 5° secolo a.C. in poi il suo significato andò cambiando assumendo quello che ancora oggi ha.
Oggi, con sofisma, si indica, infatti, un ragionamento solo in apparenza valido o verosimile, ma che, in realtà, cerca di trarre in inganno. In breve, per spiegarlo in parole semplici, con sofista oggi si intende colui che usa trucchi retorici per ingannare qualcuno e indurlo a essere d’accordo con un argomento falso o illegittimo.
Aristotele, nelle sue opere, tentò di dimostrare come, chi usava questi trucchi, abusava di argomenti specifici allo scopo di fuorviare e manipolare il proprio interlocutore. Sostanzialmente, si tratterebbe di quelli che oggi sono chiamati, ‘fatti alternativi’ o, dal latino fallacies, ossia falsa credenza.
“Certuni sono in buona condizione fisica mentre altri sembrano esserlo perché si agghindano e sono impettiti come offerte tribali; alcuni sono belli per la bellezza, altri sembrano belli perché si truccano. E lo stesso vale per le cose inanimate, giacché alcune di queste sono veramente d’argento e alcune d’oro, mentre altre non lo sono, ma lo sembrano alla percezione: per esempio le cose di litargirio e quelle di stagno sembrano d’argento, quelle giallastre sembrano d’oro. Allo stesso modo anche le argomentazioni, qualcuna è veramente sillogismo e confutazione, qualche altra non lo è ma sembra esserlo a causa dell’inesperienza”.
Per usare le parole di Aristotele le fallacies sono, quindi, dei fatti che sembrano essere logici e giusti per come vengono presentati tramite dei trucchi retorici appositi, ma in realtà vogliono solo distogliere l’attenzione di chi sta parlando, fuorviarlo e indirizzarlo verso una strada sbagliata.
Una maniera di mettere in atto la fallacia di cui parla Aristotele è l’Argumentum ad hominem, ossia argomento contro l’uomo.
Questa strategia retorica mette sullo stesso piano una persona e le sue convinzioni. In pratica viene attaccata una persona che propone una certa tesi o idea, anziché l’idea stessa. Può essere prevaricante o circostanziale. Quella prevaricante attacca il carattere dell’avversario, quella circostanziate attacca le circostanze in cui questi si trova o il ruolo che riveste e che, secondo la strategia, entrerebbe in conflitto con l’idea che professa.
Un esempio pratico potrebbe essere questo: un leader di un determinato partito è contro la guerra e afferma che il disarmo è una delle soluzioni principali per risolvere la questione.
Tuttavia, lui stesso ha in casa una pistola da usare in caso di difesa personale. Secondo la strategia usata, quindi, il politico viene attaccato e tacciato di essere un bugiardo o un ipocrita. Questo perché o è una bugia che il disarmo è una delle soluzioni per evitare il più possibile conflitti, oppure il politico stesso pretende una cosa dagli altri a cui lui stesso non è disposto a rinunciare.
Tramite questa strategia si tende a distogliere l’attenzione delle persone dall’effettivo argomento principale. Si finisce, quindi per personalizzare la questione, finendo non per discutere del vero argomento in oggetto, ossia se effettivamente il disarmo sia più o meno utile per evitare guerre e violenze; ma sul fatto che quel determinato politico possiede un’arma.
Strategie di questo genere vengono spesso usate in ogni ambito in cui la retorica è essenziale e dimostrano quanto l’impatto della filosofia di Aristotele sia giunto fino a noi oggi. Aristotele, il filosofo scienziato che voleva capire tutto, che cercava nella realtà la verità e la sapienza, fu il primo a creare un sapere enciclopedico e a metterlo a disposizione del mondo.
Il suo immenso lavoro, era e resta ancora oggi, uno dei punti vitali della storia del pensiero umano.
di 4