
La scuola ionica di Mileto: Talete, Anassimandro e Anassimene
La ricerca del principio unificatore (archè)
12min

La ricerca del principio unificatore (archè)
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Episodi di Storie di filosofia greca
La barba folta, l’espressione assorta e quella ruga in mezzo alla fronte tipica dei pensatori – Talete il saggio era talmente immerso nella speculazione che una volta, osservando il cielo, cadde in un pozzo: a raccontarcelo è Platone. Fondatore della scuola ionica di Mileto, Talete – che visse tra la fine del VII secolo e la prima metà del VI a.C. – fu anche politico, astronomo, matematico e fisico, perfetto emblema di una nuova figura di intellettuale che riuniva in sé i tratti del filosofo, dello scienziato e del tecnico.
All’epoca, nella lonia – sulla costa meridionale dell'Asia Minore – si era sviluppata una fiorente civiltà che ebbe uno dei centri più importanti nella città portuale di Mileto, da cui partivano commercianti che colonizzavano il Mar Nero.
Lo sviluppo di forme politiche democratiche, il fiorire delle tecniche e dei commerci e i contatti con le vicine civiltà orientali contribuirono alla nascita di una nuova cultura che cominciava a liberarsi dalle credenze mitiche e religiose e si orientava verso un'osservazione più razionale dei fenomeni naturali.
Non c’è da stupirsi, quindi, che il pensiero dei filosofi della scuola ionica di Mileto si incentrasse soprattutto sul problema della realtà primaria: di fronte alla multiforme mutevolezza del mondo, gli Ionici si convinsero che, al di sotto di tutto, ci fosse una realtà unica ed eterna, di cui ciò che esiste è manifestazione passeggera.
Questo principio primario unificatore è denominato archè e fa riferimento alla materia da cui tutte le cose derivano, ma anche alla forza o legge che spiega la loro nascita e morte. L’archè è origine e fonte di vita delle cose, ma è anche fonte del movimento, poiché la vita è il continuo mutare delle cose nello spazio e nel tempo, secondo un principio sottostante che regola il cambiamento.
Tutto ciò rientra nella corrente di pensiero dell'ilozoismo (dal greco “materia vivente”), secondo cui il principio vitale di tutte le cose è insito nella materia stessa e quindi la materia primordiale è dotata di una forza intrinseca che la fa muovere. I filosofi ionici abbracciavano anche una visione panteistica (dal greco “tutto è Dio”) delle cose, poiché tendevano a identificare il principio eterno del mondo con la divinità: Talete stesso pare abbia affermato che «tutto è pieno di dèi».
In verità, la ricerca dei filosofi della scuola di Mileto non era nuova: l'uomo si poneva da sempre l’interrogativo filosofico circa il principio unificatore delle cose, che dà senso al mondo e all'esistenza. Eppure fino ad allora le risposte erano state di ordine mitico, mentre con la scuola ionica venne proposta per la prima volta una soluzione razionale e filosofica, per quanto ancora grezza.
Per Talete – della cui dottrina sappiamo grazie ad Aristotele – il principio primario, l’archè, è l'acqua, poiché la terra sta sopra l'acqua e il nutrimento di ogni cosa è umido. In realtà, questa credenza è ben più antica: per Omero stesso Oceano e Teti erano principi della generazione. L'argomento proprio di Talete è che la terra sta sopra l'acqua, che è quindi sostanza nel suo significato più puro: sta sotto e sostiene.
Il secondo esponente della scuola ionica di Mileto fu Anassimandro, che nacque attorno al 610 a.C. e fu anch'egli uomo politico e astronomo.
Nella sua opera Intorno alla natura Anassimandro fu il primo a chiamare la sostanza unica col nome di archè, riconoscendola non in un elemento materiale, ma in un principio infinito o indeterminato (ápeiron) dal quale tutte le cose hanno origine e si dissolvono, al termine del ciclo stabilito per esse da una legge necessaria.
Questo principio infinito che abbraccia e governa ogni cosa si può pensare come una materia in cui gli elementi non sono ancora distinti e che dunque oltre che infinita è anche indefinita. Inoltre, l’ápeiron è immortale e indistruttibile, quindi divino. La natura della sostanza primordiale porta Anassimandro ad ammettere l'infinità dei mondi, che si succedono secondo un ciclo eterno.
La nascita degli esseri sarebbe la loro separazione dalla sostanza infinita, una rottura di quell’unità propria dell'infinito: è il subentrare della diversità, quindi del contrasto, laddove c’erano omogeneità e armonia.
Con questa separazione si determina la condizione propria degli esseri finiti come molteplici, diversi e contrastanti fra loro, e di conseguenza inevitabilmente destinati a scontare con la morte la loro stessa nascita, per poi ritornare all'unità.
Per Anassimandro, inoltre, gli uomini non sarebbero esseri originari della natura, bensì originati da altri animali, poiché non sanno nutrirsi da soli e non avrebbero potuto sopravvivere se fossero nati in principio come nascono ora.
Per quanto primitiva, questa teoria mostra l'esigenza di cercare una spiegazione naturalistica del mondo, che porta Anassimandro ad avvicinarsi all'ipotesi evoluzionistica della scienza moderna.
Anassimene, più giovane di Anassimandro e forse suo discepolo, nacque nel 586 e morì intorno al 528 a.C.
Anch’egli è autore di un’opera in prosa intitolata Sulla natura (d’altronde gran parte delle opere dei presocratici aveva questo titolo) di cui ci è rimasto un solo frammento: «Come l’anima nostra, che è aria, domina noi così anche soffio e aria contengono tutto il cosmo». Anassimene mette da parte l’indagine astratta intrapresa da Anassimandro e sembra fare un passo indietro tornando alla ricerca – come Talete – di un unico principio materiale, che individua nell’aria. Secondo il filosofo, l’aria opera sia a livello cosmico che a livello umano, dando origine e tenendo in vita gli uomini e l’universo nel suo insieme.
L'aria è il principio di tutto in quanto è principio della vita come "soffio vitale" e anche l’anima umana è fatta di aria. Tuttavia, all’aria Anassimene attribuisce i caratteri del principio di Anassimandro: l’infinità e il movimento incessante. Non avendo fine, per Anassimene l’aria è anche eterna. Inoltre per Anassimene l'aria è divina – come un vero e proprio principio superiore – e da questa divinità suprema si generano altri dei.
Sempre come Anassimandro, il più giovane dei tre filosofi della scuola ionica ammette il divenire ciclico del mondo, quindi il suo dissolversi periodico nel principio originario e il suo periodico rigenerarsi da esso. A differenza di Talete, Anassimene non si limitò a dire che l'aria era il principio di tutto, ma cercò di spiegare il processo facendo riferimento in particolare al modo in cui l'aria determina la formazione degli altri tre elementi – terra, acqua e fuoco – attraverso la rarefazione e la condensazione. Rarefacendosi, l'aria diventa fuoco, mentre condensandosi diventa vento, nuvola, acqua, terra e infine pietra. Come fisico, Talete aveva scoperto le qualità del magnete, dimostrando la presenza della vita negli esseri non viventi tramite l'esempio del magnete che attira il ferro.
Allo stesso modo Anassimene partì da un esempio specifico per poi estendere le sue tesi all'intera realtà: l'esempio della respirazione.
Notò che in base all'apertura della bocca l'aria usciva in modo differente: da una bocca larga usciva calda, da una bocca stretta usciva fredda. Così estese il ragionamento all'intera realtà sostenendo che freddo e caldo fossero il risultato di un fatto quantitativo, sempre legato ai processi di rarefazione e condensazione dove la rarefazione produce il caldo e la condensazione il freddo.
Il caldo e il freddo sarebbero quindi qualità derivanti da una quantità diversa d'aria. Così, le trasformazioni del mondo vengono spiegate come trasformazioni dell’aria, poiché tutte le cose che costituiscono l’universo non sono che aria in un diverso grado di densità: i corpi più caldi sono meno densi, mentre i corpi più freddi sono più densi. In questo modo Anassimene spiega tutti gli stati della materia – solido, liquido e gassoso – come un’unica scala di variazioni quantitative di uno stesso elemento qualitativo.
Quella di Anassimene è una spiegazione certamente più esaustiva di quella di Talete, anche se ancora non del tutto corretta. Non a caso colui che a lungo era stato considerato il minore tra i filosofi della scuola ionica venne in seguito rivalutato dal colto Diogene di Apollonia, che tra i filosofi milesi riprese proprio Anassimene, del quale fece sua l’idea dell’aria come principio cosmico. Diogene considerò Anassimene il più coerente tra i tre filosofi perché aveva sempre motivato le sue affermazioni.
Inoltre Anassimene fu il primo a ipotizzare che la qualità derivasse dalla quantità, tema poi ripreso dai Pitagorici. Anassimene fu l’ultimo importante pensatore della scuola di Mileto, poiché la città venne conquistata dai persiani e perse la sua indipendenza, portando molti dei suoi abitanti a emigrare in Grecia. Secondo la filosofia di Anassimene la realtà “diviene” incessantemente nonostante gli sforzi degli esseri umani di controllarla. Questo inarrestabile e caotico divenire – lo stesso che sprigiona le forze possenti della natura – da sempre spaventa gli uomini e li fa sentire impotenti.
Di fronte a questa paura dell’ignoto l’uomo ha spesso reagito con approccio religioso e così la religione è a lungo stata l’unica possibile spiegazione di fenomeni incomprensibili, ma si trattava di una spiegazione inadeguata e limitata.
Anassimene fa a meno dell’approccio religioso, guarda il mondo sotto la lente della razionalità e sostiene che tutte le cose, in fondo, sono regolate e comprensibili, senza bisogno di tirare in ballo gli dei. Per quanto quindi la spiegazione di Anassimene possa essere stata grezza e non si sia evoluta verso la strada dell’astrazione tracciata da Anassimandro, ha senz’altro il valore di aver avuto un approccio razionale.
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