
Platone, perché credere solo ai nostri sensi è sbagliato
La storia del filosofo, allievo e amico di Socrate, che fuggì dalla caverna e fondò l'Accademia
17min

La storia del filosofo, allievo e amico di Socrate, che fuggì dalla caverna e fondò l'Accademia
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Episodi di Storie di filosofia greca
Immagina di essere l’uomo protagonista del racconto che segue.
Un uomo si trova, insieme ad altre persone, in una profonda e umida caverna scavata in fondo alla viva roccia. Strette catene avvolgono lui e i suoi compagni sin dall’infanzia. Talmente strette che non possono muovere né le mani, né le gambe, né i piedi. Ma, cosa peggiore, anche la testa è bloccata da una morsa, che impedisce al collo di girarsi, e fa sì che il volto sia rivolto solo verso la parete che hanno di fronte. Questi prigionieri possono vedere unicamente quella parete e le ombre che vi si muovono sopra danzando piano e passando una dietro l’altra.
Se l’uomo e gli altri malcapitati potessero muoversi potrebbero scorgere, alle loro spalle poco lontano, un grande falò acceso. Vedrebbero anche che, fra loro e il falò, si innalza un muricciolo lungo e basso, che corre lungo la caverna e che, dietro di esso, ci sono delle persone che camminano davanti alla luce del fuoco. Queste persone portano in mano oggetti di ogni genere, piccole statuette di uomini e animali e altre cose, e le fanno sporgere al di là del muro. La sinuosa luce del fuoco proietta le ombre di quegli oggetti proprio sulla parete che l’uomo e gli altri prigionieri sono costretti a guardare, bloccati come sono. Quelle ombre sono l’unica cosa che possono vedere, la loro unica realtà.
Lui e gli altri non possono rendersi conto di quanto avviene alle loro spalle, perché sono bloccati lì da che ne hanno memoria e, di conseguenza, pensano che quelle ombre siano la realtà effettiva, che nulla esista al di fuori di essa. Sono immersi in un’illusione, in un sadico teatro d’ombre. Ecco però che, ad un tratto, qualcosa cambia. L’uomo si accorge di riuscire a muoversi e si ritrova improvvisamente libero dalle strette catene che prima lo avviluppavano. Stranito e impaurito, si alza con grande sforzo e per la prima volta in vita sua riesce non solo a muoversi, ma anche a voltare la testa. Appena ciò avviene la luce del falò lo acceca e lui, terrorizzato, si difende mettendo una mano davanti agli occhi. Gradualmente però il terrore che lo aveva assalito va scemando e con lui anche la forza della luce del fuoco. Gli occhi si vanno abituando e l’uomo inizia a scorgere tutto quello che prima non aveva visto. Vede il fuoco, il muricciolo che si trova dietro le sue spalle, le persone e gli oggetti che hanno in mano. Sconcertato e incuriosito al tempo stesso, non ha nemmeno il tempo di rendersi bene conto di ciò che accade che si accorge di un lungo corridoio che porta dritto dritto alla bocca d’entrata della caverna.
Lo percorre e, cammina cammina, trova la via per uscire. Una volta fuori, una luce, ancora più potente del falò, lo acceca, è il sole che gli fa pentire di aver preso la decisione di uscire. Gli occhi gli fanno male e lui non riesce a vedere niente. Dopo un po’ però, com’era successo per il falò, anche in questo caso gli occhi si abituano alla luce solare e iniziano a scorgere ciò che hanno intorno.
Prima avrebbe più facilità a vedere le cose di notte, quando la luce è più bassa; poi, dopo un po’, si abituerebbe del tutto anche alla luce solare e si renderebbe conto, indagando ed esplorando, che ciò che aveva visto nella caverna, le ombre proiettate sulla parete, erano solo una falsa versione della realtà. Comprenderebbe che la caverna stessa, le persone e gli oggetti, sono niente altro che una parte minuscola di un mondo infinitamente più grande.
A questo punto ripensando ai suoi compagni ancora prigionieri nella caverna decide di farvi ritorno, per raccontare delle sue scoperte. Una volta rientrato, però, così come il sole lo aveva accecato, ora è la caverna a essere fin troppo buia per i suoi occhi, che non vi sono più abituati. Incontrati gli altri prigionieri, racconta loro delle sue scoperte, tenta di spiegargli che ciò che vedono non è altro che un'illusione, un’ombra della realtà. Purtroppo, però, essi non credono a una sola parola di quello che dice e, anzi, lo trovano goffo e lo deridono considerandolo pazzo; continuano a fissare il muro e le ombre riflesse, quelle ombre che ritengono essere tutto il loro mondo. L’uomo vorrebbe liberarli, ma questi si arrabbiano e, furibondi, minacciano di ucciderlo se proverà a portarli fuori della caverna.
Dal mito della caverna a Matrix - secondo Platone solo la filosofia può liberare l’uomo dalle catene dell’ignoranza e dell’illusione e guidarlo nella ricerca della verità e della conoscenza
Un esempio più moderno di questo racconto potrebbe essere riscontrato nel film Matrix. Anche lì Neo inizialmente si trova senza saperlo in una realtà illusoria, finché non si rende conto che il mondo reale è ben diverso da quello a cui era abituato. E, proprio come succede all’uomo nella caverna, anche a Neo fanno male gli occhi quando viene liberato.
Morpheus che libera Neo, altri non è che l’uomo che si è liberato dalla caverna e che è tornato indietro per risvegliare gli altri ma in questo caso Neo, contrariamente ai prigionieri, accetta l’offerta.
Matrix, in poche parole, è una versione moderna di una delle più famose e note teorie filosofiche di uno dei più grandi pensatori dell'Antica Grecia, Platone. Platone racconta il mito della caverna nel settimo libro di una delle sue opere più importanti, La Repubblica. Si tratta di un’opera che scrive sotto forma di dialogo e che consta di dieci libri. Il protagonista è Socrate, insegnante di Platone, ed è proprio per bocca di Socrate che Platone espone il mito della caverna. Fra gli altri protagonisti dell’opera, alcuni sono scelti fra altri allievi di Socrate e, uno di questi, Glaucone, è protagonista con Socrate del dialogo riguardante il mito della caverna.
In questo mito Platone ci spiega il fulcro del suo pensiero e, volendo spiegarlo con parole semplici, potremmo dire che la caverna rappresenta il mondo in cui viviamo e, i prigionieri che vi si trovano incatenati, siamo noi, gli esseri umani. Le catene che avviluppano i prigionieri sono le catene dell’ignoranza e il momento in cui il prigioniero si libera è il momento in cui la filosofia libera gli uomini dall’illusione, ossia le ombre proiettate sulla parete. Sempre la filosofia, che ha liberato l’uomo, gli fa capire che gli oggetti che proiettano le ombre sul muro sono, a loro volta, solo una copia e una piccola parte della realtà. Realtà che l’uomo trova solo una volta uscito fuori dalla caverna, liberandosi quindi dall’illusione. Il ritorno dell’uomo nella caverna per liberare gli altri che sono rimasti prigionieri simboleggia il ruolo della filosofia l’unica cosa, secondo Platone, in grado di liberarci dall’illusione e dall’ignoranza che ci tiene prigionieri.
Il fatto che una volta tornato l’uomo sia costretto a scontrarsi con l’essersi disabituato al buio, che rappresenta l’illusione, e quindi venga ritenuto poco credibile, deriso e minacciato dagli altri prigionieri, vuole simboleggiare la difficoltà del pensiero indipendente e del ruolo del filosofo nella società, che spesso non viene creduto. Ciò detto appare chiaro, quindi, che Platone non ha scelto Socrate a caso quando ha deciso di renderlo narratore protagonista del mito, non solo perché ne fu amico e discepolo, ma perché Socrate ebbe modo di sperimentare il racconto del mito della caverna di persona.
Socrate, infatti, dialogava con la gente per strada, poneva domande e tentava di risvegliare ed educare la gente attraverso il suo insegnamento. In pratica Socrate era l’uomo della caverna che si era liberato e tentava di liberare gli altri con il suo insegnamento. Però, come i prigionieri della caverna deridono e minacciano l’uomo, così Socrate fu processato e condannato a morte. In pratica, con questo mito, Platone intendeva non solo spiegare che la verità si trova nascosta dietro le illusioni, dietro l’esperienza limitata che abbiamo del mondo, ma, soprattutto, intendeva dire che è compito del filosofo guardare dietro la superficie, dietro l’esperienza limitata e trovare la verità.
Tornando al mito, quindi, le illusioni sono le ombre sulla parete e l’esperienza limitata sono gli oggetti che proiettano quelle ombre. La verità si trova fuori dalla caverna ed è rappresentata dalla luce del sole che illumina tutto e quasi acceca l’uomo quando esce, abituato com’è al buio, alle illusioni e tutto il resto. Infine, secondo Platone, è responsabilità del filosofo tornare indietro nella caverna, nel mondo delle illusioni e dell’esperienza limitata, consapevole di ciò che ha visto e delle difficoltà che dovrà affrontare, per illuminare gli ignoranti, ossia i prigionieri.
Platone nacque ad Atene nel 428 a.C. e fu grande amico e discepolo di Socrate, che inserì in svariati dialoghi nelle sue opere.
Il rapporto con Socrate fu fondamentale per lui e per questo motivo, anche per Platone, come era stato per Socrate, il ruolo principale del filosofo era proprio la ricerca costante della verità.
Verità che per Platone va ricercata nel cosiddetto “mondo delle idee”, detto anche Iperuranio.
Secondo Platone, infatti, come spiega bene nel mito della caverna, gli uomini non possono credere al mondo visibile perché ci presenta la realtà in maniera incompleta e si affida totalmente ai nostri sensi. Secondo lui bisogna distinguere tra un mondo che gli esseri umani possono percepire con i sensi e un altro, che sta dietro di esso, in cui si nasconde la verità assoluta. In poche parole: un mondo dei sensi che comprende ciò che vediamo, ascoltiamo e tocchiamo, che però è solo un’immagine e un’ombra di ciò che si trova dietro, quello che Platone chiama mondo delle idee o Iperuranio. Il mondo delle idee non è percepibile dai sensi ma solo dall’immaginazione, ed è lì che si cela il vero sapere. Tornando al mito della caverna si potrebbe dire che le ombre sulla parete e gli oggetti che le proiettano fanno parte del mondo dei sensi e ciò che si trova fuori dalla caverna, invece, fa parte del mondo delle idee.
Ecco, quindi, che, per Platone, il mondo dei sensi è troppo inaffidabile, semplicemente perché si affida troppo alla percezione che ognuno, soggettivamente, ha di ciò che lo circonda. Per questo motivo, il sapere reale, la verità, è impossibile da trovare nel mondo dei sensi. Possiamo trovare solo una conoscenza parziale e incompleta, annebbiata dalle opinioni e dai sensi soggettivi. Gli oggetti che l’uomo vede liberandosi, e che scopre essere la fonte delle ombre proiettate sulla parete, rappresentano il sapere incompleto che si trova nel mondo dei sensi. Sapere condizionato dalla percezione soggettiva che porta gli altri prigionieri a dubitare della veridicità delle parole di chi vorrebbe liberarli.
Insomma, per Platone, tutto ciò che riguardava il mondo dei sensi, era imperfetto e inaffidabile; e credeva così fermamente in questo concetto, che lo applicava a qualsiasi ambito della sua filosofia, fosse esso politico o altro. Proprio per quanto riguarda la politica, infatti, Platone era convinto che il sistema politico era niente altro che un’immagine imperfetta di quella che dovrebbe essere una società ideale. Inoltre, siccome il filosofo era l’unico davvero in grado di cercare la verità dietro il mondo dei sensi, e quindi distinguerla dalle illusioni, solo lui era in grado di assicurare una vera giustizia e una vera guida.
Nella sua idea di Stato perfetto erano i filosofi a governare e guidare la società. E proprio questa idea, spesso, gli ha portato molte critiche, secondo cui un concetto del genere non era democratico; chi poteva distinguere tra un filosofo realmente saggio e uno che si professa tale e invece non lo è? Platone era tanto convinto della sua teoria che la applicò anche all’amore, dando vita al noto concetto di amore platonico. Anche in amore, infatti, per Platone, dietro la parte fisica che colpisce inizialmente, c’è la parte dell’amore spirituale. In pratica per lui, la bellezza fisica esteriore non è altro che un richiamo, uno specchio che rimanda alla bellezza spirituale. La forma più alta del vero amore è da trovarsi, come nell’allegoria della caverna, andando oltre le semplici percezioni sensoriali e fisiche.
“Rifletti ora anche su quest’altro punto - feci io. ‘Se il nostro uomo ritornasse giù e si rimettesse a sedere sul medesimo sedile, non avrebbe gli occhi annebbiati, venendo da un posto assolato? […] E se dovesse vedere nuovamente quelle ombre e parlare animatamente con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, mentre ha la vista offuscata, prima che gli occhi tornino allo stato normale? E se questo periodo in cui si riabitua al buio fosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli allora schernito? E non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non vale neppure la pena di tentare di andar su? E chi iniziasse a liberare e a portare su quei prigionieri, non rischierebbe la morte, se potessero averlo tra le mani e ammazzarlo?’”
Con queste parole Socrate racconta a Glaucone l’ultima parte del mito della caverna. In questa maniera Platone ci mostra anche quanto teneva agli insegnamenti del suo maestro. La condanna a morte di Socrate nel 399 a.C., infatti, influenzò molto il pensiero di Platone e probabilmente anche per questo, durante la sua vita, si pose tante domande, proprio come Socrate gli aveva insegnato.
Camminando alla ricerca delle risposte, Platone fondò nel 387 a.C. la sua Accademia, una delle istituzioni più note dell’età antica, simbolo del pensiero platonico e culla di molti altri pensatori importanti, fra cui Aristotele, che pure contestò molto il pensiero di Platone. L’Accademia non fu semplicemente una scuola, ma anche un’istituzione religiosa, diventando, fin dalla sua fondazione, patria di molte ricerche non solo filosofiche, ma anche scientifiche. Vi venivano formati non solo filosofi, nel senso stretto del termine, ma anche e soprattutto politici. L’esercizio della dialettica era importante e avveniva attraverso dibattiti a cui lo stesso Platone partecipava.
È proprio da questa istituzione che proviene il termine moderno “accademia” e fu lì che Platone insegnò, andando a fondo nella ricerca della verità e della vera essenza delle cose. Nelle sue opere, sia La Repubblica che le altre, appare chiaro che per lui fu fondamentale andare oltre il mondo dei sensi per raggiungere la vera conoscenza. E questo principio Platone lo applicò, come abbiamo visto, a tutte le sue teorie e pensieri, sia che si trattasse di politica e giustizia, sia che riguardasse altre cose, solo apparentemente più semplici, come l’amore.
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