
Il cervello umano e la creatività: come funziona?
Come attingere al processo neurale responsabile della creatività per trasformare la nostre vite.
16min

Come attingere al processo neurale responsabile della creatività per trasformare la nostre vite.
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Episodi di Forma mentis
Che la creatività non sia una sola prerogativa delle menti geniali, ormai, è cosa risaputa. Moltissimi studiosi si trovano d’accordo, infatti, nel ritenere che quella che tutti noi intendiamo per creatività non è appannaggio solo di grandi menti geniali e artistiche, ma è, invece, una dote propria del cervello umano in sé. Dote che ha portato l’essere umano a evolversi dalla preistoria a oggi.
Infatti, secondo lo scienziato David Eagleman, protagonista e narratore del documentario del 2019 “Il pensiero creativo”, l’intero processo storico che ha portato l’uomo dalle caverne all’esplorazione spaziale altro non è che un processo creativo, frutto intrinseco della mente e del cervello umano.
Per far capire in maniera semplice come la creatività sia una parte fondamentale del cervello degli essere umani, il dottor David Eagleman fa un esempio pratico: se andiamo in una foresta, vedremo gli animali fare le stesse cose che facevano secoli fa. La loro vita, nel corso degli anni, non è cambiata. L’uomo invece ha cambiato il suo modo di vivere in maniera incredibile e la cosa è piuttosto evidente.
Tutto ciò è stato possibile proprio perché l’uomo ha a disposizione, all’interno del suo cervello, la creatività. Ecco perché è totalmente errato pensare ad essa come prerogativa esclusiva delle manifestazioni artistiche. Lo spiega bene anche Rod Judkins nel libro The Art of Creative Thinking. Rod Judkins spiega che il pensiero creativo può essere applicato a qualsiasi settore e situazione perché non si tratta di un’attività professionale, bensì di un’attitudine, un processo del nostro cervello che coinvolge qualsiasi aspetto della vita degli esseri umani.
Ognuno di noi, spiega l’autore, ha un infinito numero di abilità creative che aspettano solo di essere impiegate nella maniera corretta. A tal proposito è utile anche la testimonianza, all’interno del documentario, della scienziata Michelle Khine, esperta in nanotecnologie, che, trovandosi in grave difficoltà in un momento della sua carriera, è riuscita a risolvere i suoi problemi proprio sviluppando la sua creatività.
Michelle Khine spiega che, per andare avanti, la scienza ha bisogno di creatività, perché altrimenti si finiranno per creare sempre le stesse cose già create, ragionando allo stesso modo degli altri.
Appurato il fatto che la creatività è insita nel nostro cervello, questo significa che, come qualsiasi altra cosa che ha a che fare con il nostro organo principale, anche la creatività ha un suo processo specifico. Tornando all’esempio degli animali e della foresta, il dottor David Eagleman spiega che ogni cervello, umano e animale ha delle aree dedicate agli input e agli output.
Gli input sono le informazioni e gli stimoli che il cervello riceve dall’ambiente circostante; gli output sono le risposte che il cervello dà in relazione all’input ricevuto. Nel cervello degli animali le due aree sono una vicino all’altra e c’è, quindi, un legame diretto fra le due. Nel cervello umano invece la cosa è diversa perché, durante l’evoluzione, c’è stata un’espansione delle zone cerebrali tra gli input e gli output e, quindi, le due aree non sono direttamente collegate e vicine come negli animali.
David Eagleman fa un esempio pratico: se un animale vede del cibo, ossia l’input, pensa subito a mangiarlo, l’output. Negli umani è diverso perché, l’allargamento delle regioni cerebrali fa sì che l’input si possa mescolare con altre strade all’interno del cervello e creare nuove connessioni prima di arrivare all’output. Ecco quindi che, se noi vediamo il cibo, possiamo pensare a tante altre cose a parte mangiarlo, come ad esempio: creare qualcosa di artistico, come le zucche di Halloween e il cake design; o come arma, come quando in passato veniva usato per punire qualcuno attraverso la gogna.
A questo proposito è molto utile anche quanto spiegato da Allen Gannett nel libro The Creative Curve. Allen Gannett spiega che la creatività ha a che fare con il pensiero divergente, cioè l’abilità di trovare quante più soluzioni possibili a un dato problema. Più ci alleniamo ad avere un modo di pensare divergente, più siamo creativi. Secondo lui si tratterebbe, in tal senso, di allenarsi ad avere il giusto modello mentale, ossia quello della pratica deliberata.
Questa pratica ci spinge ad esercitarci anche in campi in cui non siamo esperti e non abbiamo attitudine, ma che possiamo padroneggiare attraverso la concentrazione e l’allenamento. A questo proposito è utile l’esempio dell’inventore Nathan Myhrvold, la cui storia è raccontata nel documentario succitato. Nathan Myhrvold, infatti, è un uomo che eccelle in ogni campo in cui prova a cimentarsi: dalla cucina, all’invenzione di un nuovo reattore nucleare, passando per ricerche sul campo preistorico e dei dinosauri. Per riuscirci aiuta la sua creatività circondandosi di input, ossia idee, spunti ed influenze, di moltissimo tipo.
Secondo lui, inoltre, per aiutare il processo creativo è molto utile prendere idee da una parte e applicarle a un’altra, magari in contesti del tutto diversi. In poche parole, più ricchi ed estesi sono gli input, più materiale avrà il cervello con cui cimentarsi, creare e quindi aiutare il processo creativo. In tutto questo, anche la corteccia prefrontale ha un ruolo decisivo all’interno del processo creativo nel cervello.
La corteccia, detta anche PFC, è la parte anteriore del lobo frontale del cervello e, come spiega David Eagleman, la fonte e la responsabile dell’immaginazione. Durante il processo evolutivo, che ha portato all’espansione di cui parlavamo poco fa, riguardante le regioni degli input e output nel cervello umano, c’è stata anche l’espansione della PFC.
Essendo la responsabile della nostra immaginazione, questo fa sì che il suo ruolo all’interno del processo creativo nel cervello sia fondamentale. La PFC, infatti, ci permette di immaginare anche cose che non sono direttamente davanti ai nostri occhi, aiutandoci a trovare idee nuove e magari ideare cose non ancora esistenti.
L'analisi del processo creativo per sviluppare idee geniali 21 min
The Creative Curve
All’interno di questo processo creativo, quindi, qualsiasi input può essere utile per dare vita a qualcosa. Ciò significa che tutti i nostri cinque sensi sono in ballo e che tutte le esperienze da noi vissute possono aiutarci. Vuol dire anche, però, che creare non significa inventare dal niente, come spesso siamo stati spinti a credere. Piuttosto significa rimodellare qualcosa che già esiste. Significa prendere ciò che già conosciamo e combinarlo in maniera diversa per creare qualcosa di nuovo. In tal senso, sono interessanti due concetti spiegati in due diversi libri. Il primo è raccontato nel libro di Allen Gannett.
Nel libro l’autore spiega che, molto spesso, il successo di una nuova idea è dovuto alla ripetizione di un modello già esistente a cui sono stati aggiunti elementi diversi. In pratica l’incontro tra il vecchio e il nuovo. Fa l’esempio del romanzo d’amore: quando compriamo un libro di questo genere, ci aspettiamo caratteristiche specifiche: deve finire bene, deve presentare momenti di difficoltà e avere scene di passione.
Questo si aspetta il lettore e ciò, spiega l’autore, non rovina il prodotto perché, all’interno di questo contenitore familiare al lettore, vengono messi personaggi e storie nuove, originali e diverse da quelle precedenti. In questo senso è utile quanto raccontato da Michael Chabon, scrittore premio Pulitzer, intervistato nel documentario dal dottor David Eagleman. Michael Chabon spiega che non ha paura di prendere idee ovunque, anche da scrittori molto noti del passato e questo non significa per forza di cose copiare ciò che è già stato scritto. Secondo lui, infatti, proprio quel lavoro può rivelarsi molto utile per aiutarlo a dare forma a ciò che sta facendo. Insomma, usare un contenitore familiare mettendoci dentro idee originali, fa sì che il risultato sia qualcosa di unico perché interviene la nostra esperienza di vita, con tutto il nostro bagaglio di idee, ricordi e conoscenze, a renderlo tale.
Altro libro di cui abbiamo effettuato un’analisi su 4books e che può aiutare in tal senso è A Technique for Producing Ideas di James Webb Young. L’autore spiega che un’idea è, sostanzialmente, il risultato di una combinazione nuova di vecchi elementi.
La capacità del nostro cervello di mettere in pratica questo processo dipende dall’abilità e dall’allenamento che ognuno di noi ha nel vedere relazioni e fare associazioni. In questo caso è utile l’esperienza di Robert Glasper, musicista jazz vincitore di un Grammy, la cui esperienza è raccontata nel documentario. Robert Glasper, nel creare la sua musica, mischia i suoni tipici del jazz con altri generi musicali diversi, come ad esempio l’R&B. Per questo motivo è stato spesso ritenuto strano nel suo ambiente.
Tuttavia il musicista spiega che ciò che fa è già stato fatto in passato, fin dalla nascita di questo genere musicale. Il jazz, infatti, è nato dall’influsso di generi e tipi di musica diversi e per questo cambia in continuazione a seconda del periodo storico culturale. Per questo motivo ciò che Robert Glasper fa è semplicemente rimescolare le idee e gli input relativi alla sua esperienza di vita personale, con vecchi elementi tipici della musica Jazz.
Detto ciò, come si può fare per aiutare e migliorare il lavoro del processo creativo nel nostro cervello? Secondo il dottor David Eagleman ci sono 3 maniere per farlo: scavare a fondo e provare qualcosa di nuovo; superare i limiti e non avere paura del fallimento.
Il primo metodo per aiutare il nostro processo creativo è quello di scavare a fondo nella nostra mente e provare cose nuove. Nel documentario viene spiegato che il nostro cervello pesa 3 libbre, quindi più o meno 1300 grammi. Nonostante ciò, però, ha bisogno di molta energia da parte del corpo per funzionare. Per questo motivo, per consumare meno energia, cerca sempre la via più facile nell’agire.
La creatività emerge quando ci sforziamo di uscire da questa strada e forziamo il cervello a provare cose nuove.
In pratica bisogna sforzarsi di scavare a fondo nel proprio cervello per aiutare il processo creativo. Per farlo, provare cose nuove da quelle a noi note può essere di grande aiuto. Il documentario prende ad esempio la storia di Kelis, cantautrice e chef che, dopo aver raggiunto la fama come cantante, ha deciso di cambiare strada e provare a diventare chef, riuscendoci brillantemente.
La seconda strada è quella di superare i limiti. I nostri cervelli, infatti, sono affascinati dalle novità e, in tal senso, spingere la nostra mente a superare i limiti ed esplorare nuovi territori può essere di grande aiuto nel processo creativo. In questo caso viene fatto l’esempio del musicista pluripremiato Nick Cave che, durante la sua trentennale carriera, ha provato vari generi musicali riuscendo a mantenere la sua musica sempre giovane, fresca e allettante per il suo pubblico.
Questo, però, ci porta al terzo modo che, secondo David Eagleman, è fondamentale nel processo creativo: ossia non avere paura del fallimento. Scavare a fondo nella nostra mente e indurci a superare i limiti infatti, comportano un margine di rischio di sconfitta e fallimento. Il nostro cervello, di base, non sopporta il fallimento perché può essere straziante. In realtà è proprio dagli errori, che si sa, si possono imparare moltissime cose utili a fare meglio.
È quanto raccontato nel documentario da D.B. Weiss, co-creatore di Game of Thrones. Quest’ultimo dice che imparare a non aver paura del fallimento lo ha portato a prendere le cose con più leggerezza e con più praticità. Inizialmente, appena finito il college, aveva paura che ciò che scriveva non fosse buono e questo lo portava a fallire.
Ci sono voluti molti anni perché imparasse a fare di quei fallimenti una chiave per migliorare, fare meglio e quindi eccellere. Altri due metodi per aiutare il processo creativo ci vengono illustrati nel già menzionato libro di James Webb Young; il primo è quello dei 5 passaggi.
L’autore spiega che nel processo mentale per produrre nuove idee ci sono 5 passaggi consequenziali. Il primo è quello della raccolta del materiale grezzo che deve essere di due tipi: specifico e generale. Il materiale specifico si riferisce ai dati di prodotto e al target, ossia quanto più si conoscono le caratteristiche del prodotto e delle persone a cui ci si rivolge, tanto più avremo informazioni specifiche e rappresentative raccolte. Il materiale generale riguarda la capacità di una persona di assorbire qualsiasi input proveniente dall’esterno e che possa essere conservato e quindi usato all’occasione. Il secondo passaggio riguarda la rielaborazione mentale di questi materiali.
Perché il materiale raccolto possa essere rielaborato va digerito. Ciò significa che serve tempo perché maturi e questo porta al terzo passaggio: la fase di incubazione o sintesi mentale. In questa fase ci si focalizza e si selezionano solo le informazioni utili per andare avanti alla fase successiva, ossia la nascita di un’idea, che può arrivare in qualsiasi momento.
Il quinto e ultimo passaggio è quello della sperimentazione nella realtà, ossia il confronto con l’esterno che serve per validare l’idea e vedere se funziona oppure no. Oltre al metodo dei 5 passaggi, l’autore suggerisce altre maniere che possano aiutare il processo creativo. Fra questi ci sono: il metodo delle carte e lo scrapbook. Il primo consiste nell’avere carte bianche 3x5 sempre a portata di mano su cui appuntare qualsiasi input utile, nel lungo periodo, allo sviluppo di nuove idee. Lo scrapbook, invece, è un indice o un libro delle idee, su cui annotare suggerimenti.
Data, quindi, l’importanza del processo creativo all’interno della vita e nel cervello umano, è ovvio che, se usato nel modo giusto, può essere di grande aiuto per gli esseri umani in più occasioni.
In questo senso, nel documentario, il dottor David Eagleman porta molti esempi lampanti e chiarificatori. Innanzitutto la creatività, essendo alla base dell’evoluzione umana, può avere anche un grande potere curativo.
Nel documentario vengono riportate esperienze di alcuni detenuti e di un veterano di guerra che, grazie allo sviluppo della propria creatività, hanno superato momenti difficili della loro vita e, in generale, hanno riscoperto se stessi e il proprio valore. Lampante è la testimonianza dell’attore Tim Robbins che tiene lezioni di recitazione per alcuni prigionieri in California.
Attraverso il suo percorso è riuscito ad aiutare i detenuti a trasformarsi e a sentirsi persone migliori. Secondo alcune statistiche, i prigionieri che prendono parte a questo tipo di programmi hanno l’80% di possibilità in meno di commettere reati.
Ecco perché è essenziale curare la nostra creatività sin da piccoli. Esempio evidente è il racconto, nel documentario, della storia di una scuola del Vermont che rischiava la chiusura e che si è salvata ponendo la creatività al centro di tutte le materie, comprese matematica e geometria normalmente non associate alla creatività. Il risultato è stato che, grazie ad un approccio e a un mindset più creativo, ai bambini viene insegnato come sviluppare e portare a termine il processo creativo applicandolo a tutte le materie di studio. Insomma, la creatività è un elemento base della nostra vita, non è un mestiere né un'arte, fa invece parte di un processo del cervello che avviene in ogni scelta della vita, anche quella più banale e quotidiana.
Ciò che davvero fa la differenza, quindi, non è essere o meno creativi, perché tutti lo siamo; quanto, piuttosto, imparare a esserlo a un livello più alto e più utile, in modo da poterlo usare per migliorare la nostra vita ed eccellere in ciò che più vogliamo e sogniamo.
Per farlo è utile allenarsi sin da piccoli e, dato che non è mai troppo tardi, imparare a farlo anche da grandi, tutto sta nel capire come funziona il cervello e aiutarlo a cambiare strada quando necessario.
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