
La creatività non è qualcosa che si impara a scuola
Un TED Talk illuminante sulla creatività e il sistema educativo di Sir Ken Robinson
11min

Un TED Talk illuminante sulla creatività e il sistema educativo di Sir Ken Robinson
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Episodi di Forma mentis
"Abbiamo evidenze della straordinarietà della creatività umana, della sua diversità e la sua varietà, ma non sappiamo valorizzarla nel giusto modo": così inizia il TED Talk di Sir Kenneth Robinson intitolato Do school kill creativity? tenuto a Monterey nel febbraio 2006.
Robinson è stato un autore inglese, conferenziere e consigliere internazionale sull'educazione per i governi e le istituzioni no-profit e, soprattutto, un appassionato studioso del sistema educativo.
L'educazione e l’indagine sulla creatività sono stati al centro dei suoi studi, portando queste questioni ad un livello elevato: lo studio e l’esperienza scolastica, se ci pensiamo, è qualcosa che tocca profondamente le persone, perché ci riguarda direttamente e influisce sulla nostra vita in maniera importante, dato che la formazione dovrebbe prepararci ad affrontare un futuro che oggi appare più incerto che mai.
Se guardiamo i bambini nei primi anni della loro educazione, notiamo che loro hanno una straordinaria capacità di innovazione che, però, nel tempo si perde: sono gli insegnanti e il sistema educativo a sprecarla? A volte questo talento è ignorato e anche tutto ciò che non è immediatamente “spendibile” in senso scolastico viene messo da parte; la creatività, invece, è molto importante e bisognerebbe insegnarla al pari dell’alfabetizzazione nelle scuole.
Molto spesso, purtroppo, si tende a omologare le varie personalità dei bambini a scuola quanto a schiacciare verso il basso i dipendenti junior che entrano in azienda pieni di idee e innovazione, ma poi vengono limitati dal “si è sempre fatto così” e altre resistenze poco edificanti.
In una famosa citazione, Picasso ci dice che «tutti bambini sono nati artisti, il problema è rimanerlo anche da adulti». Allo stesso modo possiamo riflettere sul fatto che non impariamo a diventare creativi, piuttosto disimpariamo a esserlo – o meglio – che ci insegnano a non esserlo.
Le gerarchie nei sistemi educativi sembra siano le stesse in tutto il mondo: gli insegnamenti proposti su base quotidiana sono sempre quelli relativi al linguaggio e alla matematica, dopo di che vengono le materie umanistiche e solo infine l'arte; anche quest’ultima classificata sconta poi una gerarchia interna, che vede in cima la musica e in fondo la danza. Ma perché accade questo? Perché preferiamo insegnare le competenze in maniera così schematica? Prevediamo ore e ore di lezioni di matematica, fisica per i più grandi, grammatica e lingue straniere, mentre – in fondo – tutti i bambini ballano ogni volta che ne hanno la possibilità e noi escludiamo questo insegnamento da ogni piano scolastico tradizionale.
Per capire questo meccanismo, dobbiamo pensare a come nasce il sistema educativo: prima del diciannovesimo secolo non c'erano scuole pubbliche, vennero create per rispondere ai fabbisogni industriali. Di conseguenza, la gerarchia degli studi si fonda su due pilastri: il primo consiste nel fatto che le discipline più utili per il lavoro si trovano in cima alla piramide dei piani di studio, il secondo punto invece vede l'abilità accademica dominare la nostra idea di intelligenza perché le università hanno creato il sistema a loro immagine.
Ecco come accade allora lo scollamento tra creatività e sistema scolastico: a scuola molti bambini vengono allontanati da ciò che piace spiegando che perseguendo quella passione non avrebbero mai trovato un lavoro. A rafforzare questa tendenza c’è anche il fatto che il sistema scolastico è basato sull'obiettivo dell'ammissione all'università: di conseguenza molte persone di talento pensano di non esserlo semplicemente perché non sono bravi dal punto di vista accademico.
Ma c’è un però: nei prossimi trent'anni secondo l'UNESCO – spiegava Robinson già nel 2006 – si laureeranno in tutto il mondo più persone che dall'inizio della storia; questo sta già avvenendo per effetto della combinazione di molti fattori, tra cui il grande incremento di popolazione che stiamo vivendo, l’avanzamento tecnologico e il suo effetto sul mondo del lavoro. Tutto a un tratto i titoli di studio non valgono niente: non molto tempo fa avere una laurea significava avere un lavoro, adesso invece serve la laurea specialistica dove prima serviva la triennale e il dottorato per la magistrale; tutto il sistema educativo insomma sta subendo un’inflazione crescente.
Dato che questo paradigma non è più utile al mondo delle aziende né favorisce la creatività o un approccio sano per tutti quegli alunni e lavoratori che non rientrano nella definizione di chi è bravo scolasticamente, dobbiamo “ripensare” la nostra idea di intelligenza, quella che Robinson definisce "una nuova concezione di ecologia umana, in cui rivalutiamo tutto lo spettro della ricchezza delle capacità umane".
Il sistema scolastico fino ad ora ha estratto dalle nostre teste tutto ciò che serviva per il mondo produttivo ma per il futuro questo non servirà: grazie alla digitalizzazione e alla robotizzazione del lavoro, sempre meno persone dovranno sviluppare le “classiche” hard skill, sarà un’ottima cosa per la società intera se la creatività e un concetto più vario di intelligenza guadagneranno spazio.
Sapremo raggiungere questo obiettivo solo se saremo in grado di vedere quanto sono ricche le nostre capacità creative e vedere nei nostri studenti, come nei giovani lavoratori, il futuro dell’umanità. Il compito del sistema educativo allora deve essere quello di aiutarli a svilupparsi nella loro interezza affinché possano affrontare il loro futuro: forse non vediamo questo futuro, ma loro lo faranno anche per noi.
"Dobbiamo pensare al costo del fallimento come a un investimento per il futuro". Se c’è una citazione che può riassumere tutto il senso di "Creativity, Inc" di Ed Catmull, è proprio questa.
Il nome sicuramente non vi sarà nuovo: Catmull infatti è stato uno dei fondatori della Pixar insieme al più famoso Steve Jobs e John Lasseter e successivamente presidente di Pixar e Walt Disney Animation; poche persone più di lui hanno “i titoli necessari” per parlare di creatività e del processo creativo.
Questi due aspetti, infatti, sono stati al centro dell’operato di Catmull per anni in quanto presidente della Pixar: dopo aver raggiunto il successo planetario con Toy Story sembra che Catmull abbia realizzato il proprio sogno, senza bisogno di chiedere altro all’azienda e ai dipendenti che hanno contribuito a realizzare quel risultato incredibile. Naturalmente, però, non ci si può fermare qui e così Catmull si interroga: quale sarà la prossima sfida per sé e per la Pixar? Non può essere semplicemente il fatto di continuare a produrre film di successo.
La risposta è da cercare allora nei processi stessi dell’azienda, nel capire cosa contraddistingue un dipendente della Pixar da tutti gli altri: la nuova mission di Catmull sarà quella di sviluppare una cultura creativa duratura e sostenibile che possa sopravvivere ai suoi stessi fondatori, in grado di coinvolgere tutti i collaboratori e spingerli a fare sempre meglio, a creare film originali che facciano ottimi profitti e che portino qualcosa di positivo nella vita delle persone.
Torniamo alla paura del fallimento: questo concetto è al centro delle riflessioni di Catmull. La sua visione è interessante, offre nuove prospettive; secondo lui, infatti, errori e fallimenti certamente creano imbarazzo e sono dolorosi, ma non sono necessariamente il male perché possono essere visti come la conseguenza per aver provato a fare qualcosa di nuovo. I momenti di crisi, insomma, sono parte essenziale del processo creativo e vanno rispettati e apprezzati e, naturalmente, superati.
Anche Robinson applica la stessa teoria del fallimento al mondo dell’istruzione. Lui riflette sul fatto che i bambini non hanno paura di sbagliare, anzi si buttano nelle cose: non vuole paragonare il fare uno sbaglio con l’essere creativi, ma sottolinea invece come nel mondo accademico sia noto il fatto che se non si è preparati a sbagliare e accettare lo sbaglio con intelligenza, non sarà mai possibile creare qualcosa di originale. Lo sbaglio, insomma, potrebbe essere una condizione necessaria per sviluppare una buona e fertile creatività.
Crescendo, diventando adulti e passando attraverso il sistema educativo e i primi incarichi di lavoro in azienda, le persone perdono la capacità di sbagliare, diventano anzi terrorizzate di sbagliare; questo vale sia per le nostre vite private, sia per le aziende, luoghi in cui stigmatizziamo gli errori.
In poche parole, ancora una volta, il risultato è quindi che educhiamo le persone a escludere la loro creatività.
Creativity, Inc Come creare un ambiente che favorisca la creatività 23 minCreativity, Inc
Spesso si pensa alle persone creative come a dei geni che hanno epifanie e momenti rivelatori in cui intuiscono, per un attimo, delle verità che sfuggono a tutti gli altri.
In realtà, Catmull, sempre in "Creativity, Inc", ci racconta come il processo creativo è più simile a una maratona che a uno sprint, è frutto di sacrifici e sforzi protratti nel tempo, e questo è valido sia per lui che per tutti i dipendenti della Pixar.
Certo, c’è sempre una componente di pura genialità, ma questa si appiglia sempre all’esperienza: Catmull la racconta così: "C’è un punto tra l’ignoto e il conosciuto in cui nasce l’originalità: un punto nel buio, che non dà nessuna sicurezza".
Per non farsi prendere dallo sconforto quando si naviga in questo buio, allora, per Catmull la strategia è quella di utilizzare i modelli mentali che ci creiamo, una sorta di metafora di come vediamo il nostro lavoro creativo. Alla Pixar, racconta, ognuno ha un modello mentale del proprio lavoro: per alcuni dirigere un film è come sciare, bisogna andare più veloci che si può, senza dar spazio ai pensieri della mente critica; per altri è un labirinto, per altri è come guidare un gregge di pecore, oppure come guidare una nave. In buona sostanza, avere un modello mentale aiuta a rimanere focalizzati, a proseguire nella certezza che in fondo al tunnel la luce brillerà di nuovo.
La genialità, la scintilla, insomma non è tutto: è solo una piccola parte della creatività, che deve essere sostenuta dal duro lavoro, dal metodo, dal rigore di una mente che sa accogliere quel talento ed è pronta a tentare e ritentare se il primo sentiero imboccato non fosse quello giusto.
La creatività, gli errori, la capacità di incassare e proseguire con altri tentativi con determinazione, sono tutte caratteristiche legate le une con le altre. Avere talento, insomma, significa molto più che essere accademicamente bravi a scuola o seguire adeguatamente le richieste del capo sul posto di lavoro: esistono molte altre forme di intelligenza, legate all’arte e alla creatività, che fino ad ora abbiamo sottovalutato ma che non dovremo lasciare più da parte.
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